Gli Stati Uniti sono nel bel mezzo di una crisi politica ed esistenziale. Per comprendere questa crisi dobbiamo tornare alle scelte anti-democratiche compiute dalla nostra nazione quando questa era ancora agli albori. L’America non ha mai avuto un grande pensatore politico all’altezza di Montesquieu, Hobbes, Locke o Hegel; in effetti, la teoria del governo americano potrebbe essere riassunta nelle trenta pagine di articoli di giornale raccolti nel The Federalist Papers (Il Federalista, 1788). Scritto a sostegno della Costituzione, faceva parte di un dibattito pubblico molto acceso circa la sua ratifica. L’oggetto della critica di questi saggi era Articles of Confederation (1777), uno scritto che sosteneva fosse necessaria una struttura decentralizzata composta da tredici stati, virtualmente autonomi e riuniti in una confederazione lasca; scritto, questo, ancora molto ammirato nei circoli anarchici e libertari. Il Federalist Papers, invece, argomentava in favore della necessità di una struttura di governo più centralizzata, coerentemente con le necessità di uno stato moderno. Le persone comuni erano in grado di leggere e discutere gli articoli che componevano Il Federalista -e lo fecero. All’epoca, la teoria politica era effettivamente politica. I più noti di questi “fogli”, il n. 10, il n. 51 e il n. 78 risuonano ancora nelle orecchie di tutti gli studenti di politica americana. E ci parlano dell’attualità.
Chiara, stringata, dritta al punto, questa raccolta era stata realizzata da tre dei “padri fondatori” degli Stati Uniti: James Madison, John Jay e Alexander Hamilton. Erano davvero un bel terzetto.
Madison aveva contribuito all’organizzazione della Convention Costituzionale, aveva ricoperto la carica di quinto Segretario di Stato (1801-09) e aveva svolto un ruolo cruciale nel “Louisiana Purchase”, l’acquisto di territori in mano ai francesi che aggiunsero 23 milioni di acri alla nazione, raddoppiando la sua estensione originaria; infine, divenne il quarto Presidente degli Stati Uniti tra il 1808 e il 1816. Per quanto riguarda Alexander Hamilton, che aveva scritto la maggior parte degli articoli del Federalista, lui immaginava gli Stati Uniti come una potenza industriale, e contribuì alla creazione delle prime due banche centrali della nazione. Generale dell’esercito, era stato il Segretario del Tesoro nel governo di George Washington ed è noto che fu assassinato nel 1804, durante un duello con il famoso ex vice-presidente Aaron Burr. A differenza di Madison e Washington, entrambi i quali possedevano schiavi, Hamilton era tra i promotori della messa al bando della tratta internazionale degli schiavi e, al pari di John Jay, era un abolizionista. Il meno noto dei tre autori del Federalista era proprio John Jay, già ambasciatore in Spagna e Segretario degli Affari Esteri, che poi divenne il primo Presidente della Corte Suprema (incarico ricoperto tra il 1789 e il 1795).
Madison, Hamilton e Jay erano autentici intellettuali e rivoluzionari politici, e avevano ribaltato le logiche di governo conosciute. Come Machiavelli o Hobbes, questi politici erano convinti che gli uomini fossero egoisti e interessati solo al proprio bene. Madison era stato chiaro: se gli uomini fossero angeli, non ci sarebbe proprio bisogno di una forma di governo. Ma, allora, quale governo? Gli europei ritenevano che fossero necessari stati gerarchici e centralizzati per tenere in riga le masse. I padri fondatori dell’America, invece, avevano idee diverse in proposito. Immaginavano un governo decentralizzato, retto su un sistema di pesi e contrappesi. Combinando questo con istituzioni esplicitamente anti-democratiche, essi credevano che avrebbe prodotto lo stesso risultato, proteggendo nel contempo la libertà individuale.
Madison, Jay e Hamilton erano borghesi possidenti, proprietari terrieri, figli dell’Illuminismo, e certo non erano degli ingenui. Le loro posizioni riguardo la libertà personale, la democrazia rappresentativa e l’esistenza di un potere giudiziario indipendente prepararono il campo a progressi concreti sulla strada verso un governo democratico. Ma non erano idealisti romantici. I loro obiettivi erano perseguiti sempre con un occhio ai propri interessi, ed entro limiti di “prudenza”. Come diventerà evidente nel magistrale ciclo di romanzi sulla storia americana di Gore Vidal, ciclo iniziato con Burr (1973), quei padri fondatori, soprattutto, temevano la “grande belva”, i poveri, i nullatenenti, tanto quanto g ...[continua]

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