Quattro brevissime storie dalla Polonia, paese considerato baluardo e avanguardia del nazionalismo in Europa. Con una premessa. La premessa è questa: ho l’impressione che negli ultimi anni, a sinistra ma anche oltre, sia prevalso un modo di rappresentare la realtà come una storia delle vittime. E fin qui, si direbbe, tutto normale. In fondo, la sinistra si è sempre occupata degli oppressi, anzi voleva essere la loro voce. Però, ecco, il punto, si parlava degli oppressi e a nome degli oppressi (mi scuso per la ripetizione ma non voglio usare un sinonimo) non solo per lamentare la loro sorte e indignarsi con i poteri iniqui, quanto per riparare il mondo, per restaurare e instaurare la fraternità, l’eguaglianza, la libertà. In altre parole: ci si indignava per mobilitarsi, per chiamare la gente alla lotta, alla resistenza e per cambiare lo stato delle cose. Si parlava di soprusi per organizzare movimenti di protesta perché convinti che con la solidarietà si vinceva. Nella narrazione attuale trovo invece, spesso, una sorta di desiderio (specie in Italia) di confermarsi nella convinzione che gli avversari siano troppo forti per poter tener loro testa, figuriamoci per pensare di sconfiggerli. E anche una ricerca di luoghi geografici dove la situazione è ancora peggiore. Uno di questi, e paradigmatico per una serie di motivi, è la Polonia (non entro qui nella questione della rappresentazione che a sinistra si fa, in Italia, della Polonia, da decenni). Come dire: noi in Italia siamo messi male ma non per colpa nostra e comunque non siamo gli unici: due motivi per una sorta di auto-consolazione.

La realtà, per fortuna è diversa. La Polonia è un esempio invece non tanto di strapotere degli avversari ma di quanto la resistenza e l’appello alla solidarietà possano pagare e come lottare convenga. E talvolta si vince. Basta saperlo fare.

Nell’aprile 2019, mentre la Chiesa cattolica polacca con la complicità del potere conduceva la sua campagna d’odio nei confronti delle persone omosessuali, tre attiviste hanno distribuito in una chiesa della città di Plock, un ritratto della Madonna di Czestochowa con l’aureola in colori di arcobaleno, simbolo del movimento Lgbt. Seguirono le perquisizioni della polizia, gli interrogatori e infine un processo penale per offesa dei sentimenti religiosi. In loro difesa si mobilitò gran parte dell’opinione pubblica, alcuni giornali e media e Amnesty International. Insomma, nessuno pensò di consolare le candidate a finire in una cella, ma ci fu uno sforzo di difendere il principio della libertà di parola e della laicità dello Stato. Ed ecco che, in prima istanza, le tre sono state assolte dal tribunale distrettuale della città di Plock.

Igor Tuleja è un giudice del Tribunale distrettuale di Varsavia. Ma è anche un magistrato assai scomodo per un potere che cerca di sopprimere l’indipendenza dei giudici. Non riassumerò qui i termini del conflitto con il governo attuale. L’importante è che nel novembre 2020, un organo della Magistratura gli ha tolto l’immunità che la Costituzione polacca conferisce ai giudici. Tuleja insomma, da quella data rischiava di essere incriminato per un qualunque reato, da parte di un procuratore subordinato al ministro della Giustizia. Ebbene, il Tribunale distrettuale di Varsavia ha sentenziato che è nulla la sentenza che privava Tuleja dei suoi diritti in quanto giudice. E di nuovo, non erano solo i giuristi a difendere il collega. Ci fu una mobilitazione vasta. E una vittoria.

Katarzyna Markusz, giornalista del portale Jewish.pl e collaboratrice della rivista “Krytyka Polityczna”, è stata denunciata da un’organizzazione di destra di aver “diffamato la nazione polacca” per un articolo che riguardava l’antisemitismo e le delazioni durante l’occupazione nazista. Interrogata al riguardo dalla polizia, è stata oggetto di un movimento di solidarietà. E dopo poche settimane la procura ha archiviato la denuncia.

Infine. La questione più grande: l’aborto. Da anni il potere cerca di inasprire una legge fra le più severe nel mondo che proibiscono l’interruzione volontaria della gravidanza. Questo inverno milioni di persone sono scese in piazza. Finora i sovranisti potevano al riguardo contare sulla complicità dell’opposizione liberale in Parlamento. I deputati e senatori di Koalicja obywatelska (Coalizione civica), avversari di Kaczynski e della sua parte politica, difendevano lo status quo e non osavano immaginare un provvedimento che liberalizzasse l’aborto. Non osavano, un po’ per convinzione ma più spesso per timore delle reazioni della Chiesa. Ebbene, il movimento di protesta ha indotto una gran parte di quel partito a cambiare posizione. Per i deputati e senatori dell’opposizione liberale l’aborto non è più un tabù. C’è una promessa concreta di cambiare la legge, nel caso della vittoria nelle prossime elezioni. Si può dire: è solo una promessa e magari non sufficiente (l’aborto sarebbe permesso fino alla dodicesima settimana e dopo aver consultato un medico e uno psicologo), ma molte femministe dichiarano che comunque è un passo in avanti, meno donne saranno costrette alla clandestinità. A me interessa però dire, ancora una volta: un tabù vero, davanti al quale anche i più coraggiosi fra i politici si dimostravano di una sconcertante e ottusa pavidità, è stato infranto. Come? Semplicemente, con un movimento che oltre a lamentare (giustamente) la condizione delle donne, si è messo come traguardo la creazione di un altro mondo. Insomma, quando oltre l’indignazione c’è una visione del futuro, è possibile la speranza. E la trasformazione degli oppressi e oppresse da vittime in soggetti della storia.