-“l’organizzazione di comunità ad ampio raggio” e il ruolo “dell’organizzatore di comunità di professione”- inventati, messi in pratica e divulgati da Saul Alinsky alla fine degli anni Trenta negli Usa, allo scopo di “fare chiarezza sui rapporti di potere” e consentire agli strati più marginali e disperati della popolazione di esercitarlo per migliorare le proprie condizioni di vita. La motivazione più generale di questa riscoperta si può riassumere in una sola parola: “impotenza”.
Più precisamente, l’insostenibilità, di fronte all’ampliarsi drammatico della diseguaglianza sociale e le varie crisi planetarie, di un sempre più evidente abisso fra l’urgenza e radicalità degli interventi riconosciuti quasi unanimemente come necessari e la loro vanificazione appena arrivano sui tavoli di chi avrebbe il compito di realizzarli.
Pensate a Occupy Wall Street (Ows), un movimento che nel 2011 ha messo al centro del dibattito e della coscienza pubblica le enormi disuguaglianze economiche esistenti negli Usa e nel mondo. Dai sondaggi di opinione risultava che la stragrande maggioranza dei cittadini considerava indecenti tali crescenti divari di reddito e di ricchezza e chiedeva che i politici facessero qualcosa al riguardo. Non è stato fatto nulla, né è probabile che si faccia qualcosa. Il dubbio è che se gli organizzatori di Ows avessero letto Alinsky, le cose avrebbero potuto andare altrimenti.
Pensate a Black Lives Matter: mi è capitato di seguire con particolare interesse le proteste seguite alla uccisione di George Floyd a Minneapolis, proteste che hanno raggiunto immediatamente un’estensione e una drammaticità mai viste nei cinquant’anni precedenti e che si sono concretizzate nello slogan “Defund Police” (Definanziare la polizia) per impiegare gli ingentissimi e crescenti fondi in iniziative di riqualificazione della vita urbana delle comunità nere. Ebbene, la prima reazione del consiglio comunale delle Twin Cities, Minneapolis e Saint Paul (Msp), è stata la decisione, presa all’unanimità, di sciogliere il corpo della polizia locale e il suo sindacato. Questo sulla base dell’ampiezza delle proteste e di un ragionamento che, come vedremo più avanti, ha a che fare con la nascita dell’approccio Alinsky. È il seguente: se questo succede a Minneapolis, la città che stanzia in assoluto più fondi per l’addestramento della polizia in approcci e tecniche tese a evitare episodi del genere, significa che la via poliziesca al controllo della delinquenza va sostituita -come richiesto dal movimento- con la via dell’ampliamento reale (e organizzato dal basso) delle possibilità di scelta e di vita delle popolazioni dei quartieri più disagiati. Ebbene, anche in questo caso, tutto si è fermato. Vincente è il garbuglio delle norme che non consentono l’attuazione del voto del consiglio comunale, rispetto al quale garbuglio i membri del consiglio si sono divisi e il movimento si sente impotente e sbeffeggiato. Anche qui sorge il dubbio: una comunità organizzata “alla Alinsky” avrebbe reagito altrimenti e sarebbe riuscita a portare a casa dei risultati tangibili coerenti con le rivendicazioni iniziali?
Lo stesso si può dire sulla lotta di Fridays for Future (Fff) sul cambiamento climatico, contro chi niente ha fatto in questi anni per combattere il global warming, il consumo di suolo, la perdita della biodiversità. La mobilitazione dei teenagers di tutto il mondo su questi temi è certamente una delle forze motrici principali degli accordi raggiunti nel 2015 alla Cop21 di Parigi. I quali però sono poi rimasti sulla carta. Come mai? Viene in mente un famoso incontro pubblico fra Alinsky e Carmichael, il leader del Black Power negli anni Sessanta. Quando Alinsky gli chiede “Fammi un esempio concreto di cosa significa Black Power”, Carmichael è costretto a nominare un paio di esperienze organizzate da Alinsky nei ghetti neri di Chicago e di Rochester, New York. Replica di Alinsky: “Invece di limitarvi a urlare sempre più forte ‘Black Power’, tiratevi su le maniche e impegnatevi a organizzare il potere nero nella vita quotidiana”.
In altre parole, non dovrebbe sorprendere che le Cop successive non abbiano trovato modo di accordarsi sulla concreta realizzazione degli accordi di Parigi e dovrebbe essere chiaro che denunciare con toni sempre più accusatori i nessi fra questa paralisi e l’assenza di una ...[continua]
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