Sono passati venti anni dalla morte di Simonetta. Era nata a Roma, da una madre veneta e un padre toscano, seconda di tre figli. A Roma studiò nel Liceo “Giulio Cesare”, nel 1963 vinse il concorso alla Scuola Normale Superiore di Pisa e iniziò i suoi studi sotto la guida di Armando Saitta. Saitta era un modernista, ma presto Simonetta si orientò verso questioni di storia del Novecento e in particolare iniziò ricerche sul confronto ideologico e politico nella Seconda e nella Terza Internazionale e preparò una tesi di laurea sui primi anni del Partito Comunista d’Italia.
A quel tempo lo studio della storia contemporanea stentava ancora a trovare la sua collocazione accademica, e comunque non era frequentemente suggerito dai professori agli allievi. La scelta di Simonetta, come quella di nostri amici di quegli anni, tra i quali ricordo in particolare Adriano Sofri e Rosa Alcara, fu una scelta autonoma, suggerita da un interesse molto forte per le questioni ideologiche e dalla passione politica. Simonetta partecipò alle lotte studentesche iniziate con intensità alla metà degli anni Sessanta con occupazioni di edifici, manifestazioni di strada ed elaborazioni “teoriche” su progetti di sindacato studentesco e di rinnovamento dei metodi di insegnamento all’università.
Risalgono a questi anni le prime ricerche di Simonetta approdate a pubblicazione, su temi di ideologia, incentrate sulle figure di Lenin, di Radek, degli “estremisti” con cui Lenin polemizzò (Pannekoek e Gorter), di Amadeo Bordiga e di Antonio Gramsci. Poi Simonetta passò presto ad ancorare il dibattito teorico alle concrete fisionomie personali degli operai, ai meccanismi del lavoro di fabbrica e ai sistemi di remunerazione del lavoro. Questa attenzione si materializzò in una serie imponente di schede, fotocopie, appunti diversi che non trovarono, se non in piccola misura, traduzione nella pagina a stampa, come non vi trovò esito la tesi di laurea, sulla quale continuò a lavorare per qualche tempo, anche dopo essersi trasferita a Trieste nel 1969, dove da allora vivemmo sempre insieme (la avevo conosciuta a Pisa, eravamo legati dal 1965).



A Trieste Simonetta ebbe un variato e lungamente felice percorso insegnando in scuole di diversi ordini e stringendo un rapporto sempre impegnato con gli allievi, ai quali proponeva molte letture extracurriculari (ad esempio romanzi francesi dell’Ottocento e scritti filosofici, magari non dei più pesanti -ebbe particolare successo con il Candide di Voltaire). Riuscì a contemperare il lavoro scolastico con il proseguimento delle ricerche, che la videro sempre più impegnata nell’analizzare le realtà della fabbrica nella grande industria e in particolare le questioni della disciplina di fabbrica e i sistemi salariali, le contrapposizioni e gli scontri e il ruolo dei sindacati e delle organizzazioni padronali: terreno di indagine privilegiato, Torino fu il quadro del suo primo libro, Il prezzo del lavoro, uscito nel 1988, per il quale scrisse un’introduzione David Montgomery, lo studioso americano con il quale Simonetta era in diretta corrispondenza.
Montgomery non era stato il solo referente di Simonetta. Aveva stretto una buona amicizia con un protagonista dei primi anni di vita del Partito comunista, Alfonso Leonetti; ebbe con lui scambi vivaci di idee politiche, come più tardi avrebbe avuto una nutrita corrispondenza epistolare con Sebastiano Timpanaro, mentre furono più contenuti i suoi rapporti con l’ambiente accademico. Simonetta era stata e sempre fu molto rispettosa nei confronti dei bravi professori e dei maestri, mantenendo però una grande libertà di pensiero e una grande indipendenza di comportamento e di giudizio. Era parte della sua natura, del suo atteggiamento. In un quadernetto dove trascriveva frasi di letterati e filosofi che amava, si legge, di Jean Jacques Rousseau: “È molto difficile ridurre all’obbedienza chi non aspira a comandare”.
L’evoluzione del suo atteggiamento scientifico andò di pari passo con l’esperimento di fonti assai nuove nella storiografia sul movimento operaio (dai verbali delle sentenze dei probiviri alle lettere familiari) e con una sempre più affinata comprensione di questioni assai specifiche quali le tecniche materiali della produzione, le forme di retribuzione e di controllo dei tempi di lavoro e anche questioni di tecnica giuridica.
Nel 1992 Simonetta ebbe il suo approdo universitario a Trieste, nel ruolo di professore associato. All’università lavorò moltissimo, in particolare conducendo seminari e seguendo con estrema accuratezza tesi di laurea, su temi sempre fondamentalmente di storia sociale (la sua titolatura accademica era Storia sociale contemporanea) ma diversi e per lei sovente inediti (accettava sempre il suggerimento dei candidati, ciò che non era la prassi più consueta nell’accademia). Così seguì ricerche di laurea sull’utilizzo dell’amianto nei cantieri navali di Monfalcone, sui problemi dell’assistenza psichiatrica, sulla questione ecologica nel dibattito della sinistra degli anni Cinquanta-Sessanta, sui movimenti demografici ed economico-sociali in Istria tra Ottocento e Novecento e, certo, anche su temi nei quali lei stessa si era venuta progressivamente impegnando quali la storia del lavoro femminile e le implicazioni sociali ed economiche della Grande Guerra.
Simonetta sapeva coniugare una continuità dell’analisi e dell’atteggiamento di fondo nei confronti del mondo del lavoro con la mai dismessa riflessione sui grandi teorici (si impegnò molto in una rilettura di Friedrich Engels), con i nuovi interessi e anche con una nuova impostazione, retrospettiva e di lungo periodo. Riteneva infatti che “la fabbrica capitalistica” emersa “dal seno della società di ancien régime e del mondo corporativo” fosse “strettamente avviluppata nei rapporti sociali e nelle forme di controllo del lavoro proprie di quell’età”. Sono parole che si leggono nell’introduzione al libro Libertà e servitù del 1995, grande sintesi sull’evoluzione “nella disciplina operaia e nelle strategie difensive dei lavoratori” dal Settecento al Novecento, non senza alcuni affondi in situazioni anche anteriori. Esteso alle principali realtà europee, il libro interloquiva con Eric Hobsbawm ed Edward Thompson, riprendendone tematiche quali la centralità della figura dell’“artigiano” e l’“economia morale”, sempre nella modalità originale e critica che era propria di Simonetta.
Pochi anni dopo che era apparso questo libro Simonetta scompariva improvvisamente, lasciando i nostri due figli, Michele (1982) e Andrea (1985), e una ferita che non si è mai richiusa. Grande fu lo sgomento dei suoi studenti, che scrissero una bella lettera al quotidiano triestino accompagnandola con una poesia di Bertolt Brecht:

Non mi serve una lapide, ma
Se a voi ne serve una per me
Vorrei che sopra stesse scritto:
Ha fatto delle proposte. Noi
Le abbiamo accolte.
Una simile scritta farebbe
Onore a tutti noi.

I lavori di Simonetta Ortaggi, insieme ad alcuni materiali su di lei,sono disponibili online sulla pagina internet a lei dedicata: http://www.osf.io/93ntv/