La scultura composta da lettere cubitali che formano la parola "newborn”, neonato, di fronte al palazzo della gioventù e dello sport in una delle aree più affollate di Pristina è ancora al suo posto nonostante siano trascorsi nove anni dalla sua prima esposizione. Anche se viene periodicamente ridipinta con combinazioni di colori diversi non cattura più l’attenzione dei passanti che scivolano via indifferenti mentre rincorrono gli impegni che scandiscono inesorabili la vita quotidiana. Piccole cose e grandi avvenimenti si intrecciano; le storie dei singoli si fondono in quella di una collettività che si è fatta stato o, almeno, vorrebbe essere accettata come tale dalla comunità internazionale. L’anno prossimo il bambino compirà dieci anni. Si prevedono grandi celebrazioni. Ci saranno, presumibilmente, tanti ospiti illustri a spegnere le candeline sulla torta nella piazza principale della capitale fra pompose strette di mano di presunti padri della patria, abbracci più o meno calorosi con leader di paesi amici, tripudio e sventolio frenetico di bandiere e auguri di lunga e prosperosa vita in una notte abbagliata dagli spettacoli pirotecnici. Anche lo scorso 11 giugno c’era parecchia gente nella notte illuminata dai fuochi artificiali lungo il corso pedonale dedicato a Madre Teresa. Sul palco allestito di fianco alla statua equestre di Skanderberg, l’eroe della nazione albanese, Ramush Haradinaj, Kadri Veseli e Fatmir Limaj celebravano la vittoria alle elezioni generali convocate in anticipo per risolvere una crisi politica che si trascinava da tempo paralizzando ormai le istituzioni del paese. Tre leader della coalizione vincente, tre ex comandanti della guerriglia contro il feroce regime di Milosevic. Il futuro del Kosovo affonda le radici nel passato, un passato combattente che continua a ossessionare sogni e speranze di una popolazione che, forse, vorrebbe solo una vita normale degna di essere considerata tale. Osservavo gli ultimi ragazzi che ballavano ancora sotto al palco dalla finestra della mia stanza allo Swiss Diamond hotel, dove si trovava il quartiere generale della missione internazionale di osservazione elettorale di cui facevo parte, mentre sistemavo con cura le cose nel mio fedele zaino in vista della partenza mattutina del giorno dopo per Strasburgo. Era impossibile, d’altronde, prendere sonno fintanto che gli altoparlanti sparavano decibel infernali di musica dance che facevano vibrare i vetri dell’edificio. "Un altro giorno è andato” pensavo, rubando le parole di una celebre canzone di Francesco Guccini. Un’altra missione si conclude anche se rimangono gli stessi dubbi e le stesse perplessità di quando era cominciata.

Ancora una volta Igor Soltes. Pur appartenendo ad un gruppo medio-piccolo, quello verde e regionalista, sembra che l’eurodeputato sloveno sia considerato da tutti il più autorevole e qualificato candidato a condurre questo tipo di missioni per il parlamento europeo. E anche questa volta, come nelle precedenti tre occasioni, sono costretto all’ultimo momento a cambiare i miei piani per seguirlo. Ho perso il conto di quante volte sono venuto a Pristina. Anche Soltes, però, conosce bene il Kosovo. D’altronde, fino al 1991 sloveni e kosovari erano cittadini dello stesso paese, la Jugoslavia, scomparso dalle cartine geografiche nel volgere di pochi mesi. Confesso di trovarmi spesso in difficoltà quando racconto ai miei figli che oltre Trieste c’era un unico stato che si estendeva da Lubiana a Skopje, un contenitore di popoli ed etnie esploso con effetto domino alla fine della guerra fredda. Provate anche voi con i vostri figli e sono certo che vi troverete in imbarazzo a fornire spiegazioni logiche a ragioni che sconfinano nelle pulsioni irrazionali. Con Igor mi è capitato più di una volta di discutere di questioni jugoslave. I suoi sono ricordi anche affettivi visto che è il nipote dello scomparso Edvard Kardelj, uno dei più stretti collaboratori di Tito nonché economista, inventore del modello di autogestione dei lavoratori considerato all’epoca come la terza via fra la libera impresa del capitalismo occidentale e la rigida organizzazione dell’industria di stato sovietica. Ma Kardelj è stato anche l’autore principale della costituzione jugoslava che nel 1974 ha spianato la strada al processo di decentralizzazione aumentando i poteri di repubbliche e province. Fu, poi, Slobodan Milosevic nel suo famigerato discorso di Kosovo Polje del 28 giugno del 1989 a mettere u ...[continua]

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