Il 16 dicembre si è tenuto a Verona un convegno sulle discriminazioni nel diritto del lavoro, organizzato dall’Associazione veronese avvocati giuslavoristi (Avag). Pubblichiamo gli interventi di Donata Gottardi, docente di diritto del lavoro nell’Università di Verona; Tatiana Biagioni, avvocata giuslavorista, da anni impegnata nelle politiche di genere, già consigliera di parità della Provincia di Milano; Alberto Piccinini, avvocato giuslavorista a Bologna.

Donata Gottardi
Vorrei introdurre questi lavori con una sorta di ricognizione, di abc sul tema delle discriminazioni. La prima considerazione che vi sottopongo è che oggi, a seconda delle fonti che andiamo a consultare, disponiamo di elenchi diversi (più o meno esaustivi) di fattori di discriminazione vietati. Se andiamo a vedere la Carta dei diritti fondamentali di Nizza del 2000, che è una sorta di costituzione europea, troviamo un elenco tutto sommato lungo; nella nostra Carta costituzionale l’elenco dei fattori vietati è già molto più limitato. E così se guardiamo ai vari trattati, disposizioni...
Dal punto di vista legislativo nazionale, a me pare che l’elenco più completo ed esaustivo sia ancora quello inserito nell’art. 10 del dl 276 del 2003, noto come Legge Biagi, laddove vieta le discriminazioni nell’accesso al lavoro; lì, a mio avviso, trovate la disciplina più ampia ed esaustiva di fattori di discriminazione. Addirittura questo elenco lunghissimo si chiude con il divieto di discriminare in base a controversie instaurate contro precedenti datori di lavoro. Cioè il fatto che un lavoratore abbia iniziato una controversia con i precedenti datori di lavoro non può essere considerato come fattore per escludere l’assunzione della persona.
Abbiamo poi una disciplina normativa di dettaglio nei confronti di alcuni fattori di discriminazione vietati nel nostro ordinamento; il più noto, quello che ha radici più lontane, è il divieto di discriminare tra lavoratori e lavoratrici, quindi il divieto di discriminazione di genere.
Accanto a questo, su cui ci sono sia direttive europee che direttive nazionali, troviamo quelle che in passato erano note come "direttive di nuova generazione”, e quindi divieti di discriminare per razza, origine etnica, età, disabilità, religione o orientamento sessuale.
Faccio presente che oggi assistiamo all’emergere di alcuni nuovi potenziali fattori di discriminazione. Penso ad esempio al fattore obesità, che non incontriamo in nessuno di questi elenchi e nemmeno nei fattori direttamente vietati.
Di tutti questi temi si discute da tantissimo tempo e tuttavia occuparsi di discriminazione ha sempre voluto dire occuparsi di un argomento di nicchia, di temi non fondamentali per l’ordinamento, certo interessanti ma non decisivi.
Tutto questo è cambiato, a mio avviso, soprattutto a partire dal 2012 con la normativa sulla "tutela reale”. Visto che la tutela reale, cioè il reintegro, oggi è riservato esclusivamente ai licenziamenti discriminatori, questi ultimi stanno tornando al centro dell’attenzione assumendo il rilievo che hanno negli altri paesi, dove i divieti di discriminazione sono il faro, il punto di riferimento della normativa. È emblematico come, anche dal punto di vista quantitativo, in occasioni di confronto con il mondo anglosassone o con il Nord Europa, questi paesi contassero migliaia e migliaia di controversie, mentre noi siamo sempre rimasti su numeri molto limitati.
Le discriminazioni si distinguono in dirette e indirette. Solo le discriminazioni indirette possono superare il vaglio di proporzionalità e di ragionevolezza. Il fatto è che larga parte delle discriminazioni sono multiple. Noi possiamo infatti discriminare simultaneamente per genere, per età e per condizioni.
Ricordiamoci poi che non ci sono solo le discriminazioni all’interno del rapporto di lavoro, ci sono anche le discriminazioni istituzionali. Aggiungo che anche le molestie sono considerate discriminazioni. Quando parliamo di discriminazioni parliamo pertanto di un campo molto ampio.
Uno dei punti controversi, sul quale fortunatamente la Cassazione sembra aver avviato un cambiamento di orientamento, è il concetto di "intento discriminatorio”. Nelle sentenze del nostro paese si continua a fare riferimento all’intento discriminatorio. Ecco, questa è una nozione tutta nazionale, che si scontra completamente con l’orientamento dell’Unione Europea, dove l’intento non entra nella nozione di discriminazione. La nozion ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!