Una passeggiata per le vie e le piazze di Skopje, capitale dell’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, a pochi giorni di distanza dal referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, offre alla riflessione sulle identità nazionali e l’Europa -che in molti stanno conducendo- una cornice insolita ma forse più appropriata di quanto potrebbe sembrare.
La città pullula di statue. Figure in bronzo o in pietra, a grandezza naturale o in scala colossale, sedute, in piedi o a cavallo, arringanti, salutanti, additanti gloriosi destini, occupano spianate, slarghi, incroci, ponti, lungofiume, gradinate. Nella piazza principale del centro un Alessandro Magno in groppa a un destriero impennato, di proporzioni elefantesche, svetta in cima a un piedistallo a forma di fungo, vigilato da guerrieri in pose bellicose, irti di lance e spade. Il vasto spazio attorno risuona di brani di musica classica, al cui ritmo s’illumina di colori cangianti lo spropositato manufatto, e sprizzano zampilli le fontane circostanti.
In qualunque direzione si volga lo sguardo da sotto il monumento equestre, la prospettiva appare ingombra di politici in poltrona o comizianti, scrittori pensosi, prelati brandenti il pastorale, combattenti all’assalto arma alla mano, re impugnanti scettri, spade e labari, martiri che salgono il patibolo. Non manca un arco trionfale romano nuovo di zecca, il cui biancore di gesso è imbrattato dai sacchetti di vernice variopinta lanciati durante una manifestazione di pochi giorni fa.
Al viavai dei cittadini in carne e ossa si sovrappone, soverchiandolo, un’immota folla di figure d’ogni epoca, foggia e contegno. Vien fatto di pensare che a Skopje si sia scatenata una corsa al bronzo -e al marmo, e al granito- convulsa e precipite come la corsa all’oro del Klondike. Una pacchia per scultori disposti a modellare pomposi pupazzi, turgide cavalcature o soldatini in formato gigante. Viene da pensare, anche, che nella capitale di questo piccolo e periferico paese europeo, il cui stesso nome è contestato da uno Stato confinante, sia possibile contemplare nella sua nuda miseria, al massimo grado di concentrazione, il volto grottesco del nazionalismo, escrescenza perversa delle nostre storie. Passato cristallizzato come materia inerte, pronta a rovinare con tutto il suo peso sul vivo presente.