In memoria di Learco Andalò

Il 1° ottobre 2022 ci ha lasciato Learco Andalò. Aderì all’Mli nel 1951 e militò nel movimento creato da Magnani e da Cucchi fino al suo scioglimento. Era un fedele abbonato della nostra rivista, e fu anche grazie alla sua collaborazione che riuscimmo a rendere fruibile, nell’emeroteca digitale della biblioteca Gino Bianco, la collezione completa di “Risorgimento socialista”.

Qui sotto un brano della sua introduzione al libro L’eresia dei magnacucchi sessant’anni dopo da lui curato:

Sullo “strappo” di Valdo Magnani e Aldo Cucchi e sulle vicende del Movimento Lavo­ratori Italiani (Mli) e Unione Socialista Indipendente (Usi) assai poco hanno scritto gli storici, salvo il contributo di Sergio Dalmasso, il convegno svoltosi a Reggio Emilia il 3-4 novembre 1989 e il volume pubblicato nel 1998 di Gozzini e Martinelli. Avviene così che, quando si leggono autobiografie o biografie di taluni dirigenti del Pci o del Psi, mentre le pagine sui magnacucchi sono bianche, nelle altre si nota lo zelo che mira a dimostrare che si sono comportati nel migliore dei modi possibili. Sulle "dimenticanze" direi che aveva ragione Foa quando restava stupefatto di fronte “alla cancellazione di ricordi sgradevoli (alcuni aspetti della realtà sovietica), oppure al disagio per avere cambiato varie volte le idee nel corso della propria storia e quindi di essere incoerenti. Ma ditemi chiaramente, cambiare idea non è la condizione per essere coerenti? Tutto sta nel come si cambia: se io dico di avere avuto sempre ragione sono un poveretto, se spiego che con il mutare del mondo è cambiata anche la mia testa comincio a ragionare. Ho torto?”.
Quando Magnani e Cucchi, nel gennaio del 1951, senza fare calcoli personali, decisero di dimettersi dal Pci con la loro schiettezza, lungimiranza e passione politica, non si preoc­cuparono della forza organizzativa e cominformista del Pci, del suo fidato alleato che era allora il Psi e delle organizzazioni collaterali. Coraggiosamente avviarono un’impresa pres­soché impossibile, e se lo fecero fu anche perché la politica ha talvolta delle ragioni che non si possono spiegare soltanto con la politica. Come è noto, le dimissioni vennero respinte dalla dirigenza nazionale e locale del Pci, che non soltanto li espulse ma avviò una massiccia campagna di accuse false e infamanti, tanto che, ricordando quel periodo la moglie di Ma­gnani, Franca Schiavetti, disse: "Nell’Italia degli anni Cinquanta ho provato lo stalinismo in un Paese democratico, lo stalinismo senza Stalin". L’Italia era al di qua della "cortina di ferro", quindi i "traditori" non potevano essere eliminati fisicamente, ma i comportamenti furono simili a quelli utilizzati altrove: insulti e accuse tanto infamanti quanto inventate. La campagna di "vigilanza rivoluzionaria" fu di una virulenza impressionante, il cui scopo principale era quello di impedire ai due "rinne­gati" di avere rapporti esterni e di isolare "due volgari agenti senza onore e senza principi", per “creare un’atmosfera irrespirabile per i provocatori” (Arturo Colombi), perché “dob­biamo farli odiare  da  tutti” (Antonio Roasio). L’animosità colpì anche i familiari  e i po­chi sostenitori; inoltre, in alcune circostanze, boicottò la debole organizzazione del Mli e dell’Usi. Cito due casi: nel 1952 un infiltrato riuscì a far saltare la presentazione della lista dei socialisti indipendenti alle elezioni amministrative della Provincia di Ferrara, nel 1953 un altro infiltrato con la frode impedì la presentazione della lista dell’Usi nel collegio di Como, Sondrio e Varese.
Si deve ammettere che la martellante azione di isolamento dei magnacucchi, inizial­mente praticata dal Pci, Psi e perfino dal Psdi, fu impressionante anche per i non aderenti al Partito comunista ed ebbe successo. Il cordone sanitario, costruito dal Pci attorno ai rin­negati "titoisti", ebbe l’efficacia di un interdetto medievale, arse come il fuoco che bruciava gli eretici. Certamente si può ritenere che, oltre ai limiti del movimento dei socialisti in­dipendenti, fu soprattutto lo sbarramento praticato dal Pci che impedì al­leanze con Unità Popolare (una formazione composta da ex-socialdemocratici e repubblicani) e che rese più sfilacciati i confronti culturali con una interessante corrente di idee come quella dei laici che ruotavano attorno al settimanale "Il Mondo".

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Ricordiamo Learco Andalò

Il 1° ottobre 2022 ci ha lasciato Learco Andalò. Ci eravamo conosciuti intervistandolo sulla sua vicenda politica legata a quella di Magnani e Cucchi, i cosiddetti “magnacucchi”, antistalinisti eretici e fuoriusciti del Pci; era un fedele abbonato della rivista, e fu anche grazie alla sua collaborazione che riuscimmo a rendere fruibile, nell’emeroteca digitale della biblioteca Gino Bianco, la collezione completa di “Risorgimento socialista”.

Riportiamo qui sotto un brano della sua introduzione al libro “L’eresia dei magnacucchi sessant’anni dopo” da lui curato e, di seguito, ripubblichiamo la nostra intervista “L’ultimo dei magnacucchi”. Sullo “strappo” di Valdo Magnani e Aldo Cuc

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L'ULTIMO DEI MAGNACUCCHI

l'altra tradizione
Quando un giovane di sinistra, timido, avido di letture e curioso di politica mise piede in una sede di un piccolo movimento, che predicava un socialismo indipendente da Mosca; l’ostracismo implacabile dei comunisti del Pci verso i cosiddetti magnacucchi, trattati da traditori, rinnegati, spie. Intervista a Learco Andalò.

Nel gennaio 1951, i parlamentari emiliani Valdo Magnani e Aldo Cucchi uscirono dal Partito comunista, criticando la supina adesione del Pci alla politica estera dell’Unione Sovietica. Violentemente attaccati da Togliatti, vennero spregiativamente soprannominati "Magna­cucchi”. Diedero vita al M

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