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Quando la prosa si trasforma in poesia i
confini tra la ragione e l’immaginazione
svaniscono e le parole scendono dalla penna
in una sequenza armoniosa per poi ballare
sulla carta. Solo allora le parole acquista-
no magicamente il potere di accompagnarci
nel mondo dei sogni dove potremo giocare e
modellare la realtà in mille modi a nostro
piacimento e ci potremo sentire spiriti liberi
che parlano una nuova lingua non compresa
dal mondo reale.
Chiunque abbia incontrato sul sentiero
della sua vita un persiano, sarà rimasto
senz’altro colpito dalla quantità di poesie
che sa a memoria. Potrei dire che la poesia
ha permeato l’anima della popolazione. Ca-
pita spesso durante una conversazione che
un iraniano arrivi a recitare qualche verso
per dare un ulteriore peso al suo discorso;
oppure nei villaggi sperduti di trovare an-
ziani analfabeti che vi sorprendono recitan-
do poesie a memoria. Che dire poi della gara
della poesia tra i bambini che giocano nei
cortili: uno recita una rima e l’altro deve
iniziare una rima con l’ultima lettera della
rima dell’avversario e se non se la ricorda
viene eliminato. Potrei ancora parlarvi di
Shabe-Yalda
(notte di solstizio, cade il 21 di-
cembre), la notte della nascita di Dio
Mitra
,
in cui le famiglie si radunano per attendere
la luce dell’alba intrattenendosi con le poe-
sie e in particolare viene recitato “Divano”
di Hafiz. Secondo la leggenda il grande po-
eta Hafiz prima di morire disse: “Chiunque
prega la mia anima io risponderò alle sue
domande con le mie poesie”. Nella notte di
Yalda iraniani seduti sul tappeto in cerchio
intorno a una stanza, a turno aprono il libro
del poeta e lui influenza, con la sua sensi-
bilità sprigionata dalle sue poesia, l’anima
delle persone.
Hafiz mit dir, mit dir allein/will ich wet-
teifern. Lust und pein/sie uns/den Zwillin-
gen/gemein!
Così scrive Goethe influenzato
da Hafiz (1320-1389) il grande poeta mistico
persiano, mentre leggeva il suo libro
Divan
(canzoniere). Rimase così affascinato dal
suo stile che scrisse
West Ostlicher Divan
.
Le poesie di Hafiz hanno un’eleganza ini-
mitabile e la sua tomba nella città di Shi-
raz è meta di pellegrinaggio. La poesia ha
permesso che la lingua persiana, il farsi, ri-
manesse intatta e codificata nel tempo. Con
l’invasione araba, la letteratura persiana
fino al IX secolo si espresse in arabo. Persi-
no
Le mille e una notte
era scritto in arabo.
A partire dal IX secolo, nelle città di Khora-
san (Uzbekistan), Samarcanda, Bukhara e
Balkh, si sono affermate le dinastie persia-
ne (in particolare Samanidi) e la letteratura
persiana ha cominciato di nuovo a respirare.
Possiamo citare il libro
Kalileh e Damneh
di
Rudaki (morto nel 941). Durante la dinastia
Ghaznavidi, il Re Mahmud di origine tur-
ca, incoraggiava i poeti persiani a scrivere e
fare ricerche nelle biblioteche e negli archivi
sui testi che narravano della persia preisla-
mica. Ferdowsi (Khorasan, 935-1020), della
corte di Bukhara, ricevette l’incarico, con la
promessa di una ricca ricompensa, di fare
studi sulle tradizioni pre-islamiche e scrive-
re poesia in lingua persiana.
Shah nameh
(Libro dei Re) è il risultato del suo lavoro
durato ben 35 anni. Lui scrive:
“Come ho fa-
ticato in questi 30 anni/ma ho ridato vita
al farsi”
.
Il libro dei Re, un’opera epica, viene consi-
derato un grande capolavoro letterario che
tratta la storia del grande impero persiano
preislamico scritto in lingua farsi. “L’opera
di
shah nameh
ebbe per i persiani un si-
gnificato incommensurabile anche perché
diede alla nazione persiana una lingua let-
teraria”, scrive Gerhard Schweizer nel suo
libro
I persiani: da Zarathustra a Khomei-
ni
, e ancora “La sua impresa pionieristica
può essere in parte paragonata a quella di
un Martin Lutero che, nella sua traduzione
della bibbia, soppiantò il latino dei dotti e lo
zoppicante tedesco giuridico, donando ai te-
deschi una lingua che aveva una dignità let-
teraria. A partire da Ferdowsi si parlerà del
cosiddetto neopersiano che nei suoi aspetti
morfosintattici e semantici, è rimasto inva-
riato fino ai nostri giorni”.
(Nina Sadeghi)
Quando la prosa
si trasforma in poesia
Parastou Forouhar. Ogni farfalla è lì per ricordarci qualcosa
Nata nel 1962 a Teheran, nel 1990 si è laureata in Arte all'Università della sua città. Dal
1991 vive e lavora in Germania.
Era il 1 Azar (ottavo mese del calendario iraniano) il giorno in cui, nel 1998, i suoi genito-
ri, Dariush e Parvaneh, entrambi noti intellettuali impegnati per una società democratica
e per la separazione tra religione e stato, sono rimasti vittime con altri di un assassinio
politico avallato dal governo iraniano. Da quel tragico giorno, ogni anno il 22 novembre,
torna a Teheran dove ha utilizzato ogni strumento legale per individuare e far processare
i responsabili del delitto, per sottolineare l’importanza della memoria e per dare un segno
di sostegno a tutti quelli che ancora oggi lottano per un cambiamento democratico. Da sette
anni però le viene proibito con la forza di celebrare pubblicamente questo anniversario.
Parastou Forouhar non ha mai abbandonato il suo paese, continua a lottare e a ricercare
giustizia. Lo fa nella sua vita personale, tornando a casa e rischiando ogni volta. E lo fa
con l’arte, dove racconta una storia personale che è al tempo stesso una denuncia politica e
sociale. Nonostante tutto è fiduciosa, continua a credere nella possibilità di una trasforma-
zione del suo paese, anche se il regime blocca ogni tentativo di apertura. La società civile
però ha dimostrato e continua a dimostrare di essere pronta al cambiamento.
Il nome di sua madre, Parvaneh, significa farfalla. Ogni farfalla è un’immagine e al suo
interno un labirinto di figure umane s’incastrano per formare un’armonia del terrore. “Ogni
farfalla è lì per ricordarci qualcosa” dice Parastou.
(http://www.parastou-forouhar.de/)