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Hengameh Shahidi
Femminismo col velo
Hengameh Shahidi, pur essendo credente e
portando per sua scelta l’hijab, da sempre è
stata in prima fila per i diritti delle donne,
lavorando assieme alle femministe laiche
per cambiare tutte quelle leggi che nella Re-
pubblica Islamica discriminano le donne.
Signora Shahidi, lei è stata condannata
a sei anni di carcere, una sentenza mol-
to dura per una giornalista e attivista
dei diritti delle donne…
Sei lunghi anni, due dei quali già scontati.
Non voglio, in questo momento in cui mi tro-
vo in libertà provvisoria su cauzione, espri-
mere giudizi su questa sentenza, ma posso
dire che è stata emessa in un momento mol-
to particolare nella vita del paese, dove la
sete per il potere era grande e ogni ostacolo
a questa corsa veniva rimosso con eccessi-
va determinazione e al di sopra delle stesse
leggi. Una parte del paese, ignorando i più
elementari diritti delle persone e con ogni
mezzo a sua disposizione, compresa la vio-
lenza fisica, ha cercato di imporsi sul resto
della società sostenendo di agire in nome
della fede e della rivoluzione.
In Iran, le donne si sono sempre distin-
te, rispetto alle donne degli altri paesi
islamici, per la loro forte presenza sulla
scena politica e per la loro determina-
zione nel rivendicare i propri diritti...
Le ragioni che spiegano questa determina-
zione sono più di una. Tanto per cominciare,
una parte delle donne che vivevano nelle ae-
ree urbane, da diversi anni prima della rivo-
luzione islamica del 1979, avevano ottenuto
certi diritti come eguaglianza sociale, liber-
tà nei costumi e anche una certa parità sul
piano del lavoro, che avevano poi perso negli
anni successivi alla rivoluzione.
Queste donne non erano disposte a rinuncia-
re facilmente a quanto avevano e da sempre
hanno lottato con determinazione per ria-
vere quello che era stato loro tolto. Un’altra
parte della società, quella legata alla religio-
ne e alle tradizioni, ha trovato con la rivo-
luzione l’occasione per lottare per quella che
considerava la vera liberazione della donna
dalla schiavitù, cioè essere più libere rispet-
tando il codice di abbigliamento islamico e
ottenere un maggiore rispetto secondo quan-
to prevede la religione. Questo secondo grup-
po, al contrario del primo, non considerava
la religione un ostacolo sulla via della parità
tra i sessi.
Ma nell’islam esiste veramente la pari-
tà dei sessi?
Se devo dare una risposta breve e senza
troppe spiegazioni, le devo rispondere di
no. Secondo l’islam, la parità tra i sessi non
porta alcun vantaggio alle donne. La sharia
non consente alle donne di esercitare alcu-
ne professioni come, per esempio, quella del
giudice, in quanto ritiene che le donne siano
troppo emotive, così come non prevede che
incarichi di massima responsabilità siano
affidati al sesso femminile. C’è però un’al-
tra interpretazione dei dettami religiosi se-
condo la quale le capacità vanno attribuite
non secondo il sesso, ma in base alle carat-
teristiche personali. Donne come Margareth
Thatcher o Indira Gandhi avevano delle ca-
pacità maggiori rispetto a molti uomini che
erano loro rivali in politica.
Molti sono del parere che con l’attua-
le Costituzione della Repubblica Isla-
mica, che prende spunto dalla sharia,
sia impossibile ottenere pari diritti e
uguaglianza per le donne…
Nelle leggi iraniane, quando sorgono dubbi
e ci sono delle divergenze, la sharia diventa
l’ago della bilancia.
Ovviamente, per una parte dei credenti, la
sharia deve essere applicata solo alla vita
spirituale dei credenti, senza influire sulle
leggi dello Stato.
Problemi come il diritto della donna a ri-
chiedere il divorzio, o la divisione dei beni
in caso di separazione, oppure la custodia
dei figli, non sono materie che devono essere
soggette alla sharia. Ma qui bisogna anche
aggiungere che nella Repubblica Islamica
nemmeno le attuali leggi vengono rispetta-
te, figuriamoci riscriverle per migliorare la
situazione delle donne.
Lei era consigliere di Mehdi Karroubi,
uno dei quattro candidati alle ultime
elezioni presidenziali. Pensa che se fos-
se stato eletto le condizioni delle donne
sarebbero state migliori?
Anche se Mehdi Karroubi è membro del cle-
ro, aveva scritto il suo programma con l’aiu-
to di esperti e tenendo conto delle richieste
che provenivano dalla società. Dal suo punto
di vista certe leggi erano frutto di una inter-
pretazione radicale della sharia e più volte
aveva dichiarato che le donne in questi anni
avevano avuto una fetta di diritti molto infe-
riore a quella avuta dagli uomini.
Lui era convinto che alle donne spettava una
presenza maggiore nel governo.
Del resto, nel nostro paese la maggioranza
della popolazione universitaria è composta
da donne e non è ammissibile che queste,
finiti gli studi, tornino a casa ad accudire il
marito e i figli.
Si può dire che le donne in Iran sono la
chiave della svolta politica?
Per due ragioni le donne in Iran svolgono
un ruolo molto importante sulla scena poli-
tica. La prima, come ho accennato poc’anzi,
è l’educazione; la percentuale delle donne
iraniane con un’educazione ad alto livello,
paragonata con quella dei paesi vicini e del
resto della regione, è molto elevata. L’altra
ragione è la forte convinzione delle donne
che il processo per arrivare alla piena parità
dei diritti non può percorrere una strada di-
versa da quella di portare avanti delle rifor-
me che interessino i diritti collettivi. Proprio
per questo in Iran le donne hanno avuto un
ruolo e una presenza molto significativa nel
movimento riformista.
Ovviamente, nella fase attuale viviamo un
momento di riflusso e di depressione che ha
frenato sia il movimento delle donne che,
più in generale, il movimento riformista.
Ma anche in questo momento così difficile le
donne sono impegnate nella lotta per i loro
diritti. La presenza di tante donne in carce-
re, da giornaliste a blogger, da femministe
ad attiviste dei diritti umani, passando per
avvocati e dirigenti del movimento studen-
tesco, è una chiara dimostrazione del ruolo
che hanno le donne sulla scena politica e so-
ciale del paese.
(A.R.)
Hengameh Shahidi, giornalista e attivista del movimento per i diritti delle donne, si trova da qualche tempo in libertà provvisoria per
problemi di salute. Arrestata nei giorni successivi alle elezioni presidenziali del 2009, è stata condannata a sei anni di reclusione. Malata
di cuore, per ottenere l’autorizzazione a curarsi fuori dal carcere ha dovuto versare una cauzione di 900 milioni di rial, pari a 56.000 euro.
Hengameh Shahidi è nata nel 1975 nella città di Mashad, uno dei luoghi sacri dello sciismo iraniano. Figlia di due insegnanti, dopo la
laurea in giornalismo, ha iniziato a lavorare per i maggiori quotidiani del paese. Nel 2004 ha vinto il premio del Festival del Giornalismo
della Repubblica Islamica, in quanto prima inviata donna nelle zone di guerra; aveva infatti seguito la guerra in Afghanistan nel 2001 e
quella in Iraq nel 2003. Da sempre attenta ai problemi sociali, ha militato nelle file della Commissione Islamica di difesa dei Diritti Uma-
ni. Come militante del movimento femminista è stata molto attiva nella Campagna contro la lapidazione. Nel 2009, mentre si trovava in
Gran Bretagna per un dottorato di studio sui Diritti Umani, Hengameh Shahidi è rientrata in Iran su invito del candidato presidenziale
Mehdi Karroubi, che le ha affidato l’elaborazione del suo programma per quanto riguardava le questioni femminili. Poche settimane
dopo le elezioni e la discussa vittoria dell’attuale presidente Mahmoud Ahmadinejad, è stata arrestata con l’accusa di aver preso parte a
complotti contro la sicurezza nazionale, di appartenere a organizzazioni illegali, di aver partecipato a manifestazioni non autorizzate e,
infine, di offese alle massime autorità dello Stato.
la sharia non consente alle donne
di esercitare alcune professioni, come,
per esempio, quella del giudice
non è ammissibile che le donne,
finiti gli studi, tornino a casa
ad accudire il marito e i figli