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In Iran, e forse anche nel resto del mondo
islamico, la chiave di svolta e di ogni cam-
biamento sono le donne. L’Onda Verde che
ha fatto conoscere al mondo i giovani irania-
ni ha come simbolo una donna, una giova-
ne ragazza di 26 anni di nome Neda Agha
Soltan, che è stata la prima vittima della ri-
volta post elettorale del 2009. Le immagini
di quelle giornate di protesta sono piene di
figure femminili di ogni età che affrontano
con rabbia e coraggio le forze di sicurezza,
i reparti speciali e i
basiji
, le milizie estre-
miste. La riscossa delle donne iraniane per
i loro diritti non è iniziata però in questi ul-
timi anni, e nemmeno negli ultimi 33 anni,
cioè da quando esiste la Repubblica Islami-
ca. Le donne iraniane, nell’ultimo secolo, a
partire dalla rivoluzione costituzionale del
1906, non hanno smesso un solo momento
di rivendicare i loro diritti, anche se, talvol-
ta, il campo di battaglia non era quello della
politica, ma era su altri terreni, come la let-
teratura.
Uno dei simboli della lotta per i diritti delle
donne è Fatemeh Zarrin Taj, conosciuta so-
prattutto come Tahere Ghorat al Ein. Que-
sta poetessa, nata nel 1817 in una famiglia
sciita, abbracciò giovanissima la fede Ba-
ha’ì, iniziando a girovagare per i paesi della
regione in cerca di nuovi adepti. Ghorat al
Ein (gioia per la vista) è forse la prima che
parla pubblicamente del ruolo che la donna
deve avere nella società, rivendicando al-
cuni diritti fino ad allora sconosciuti nella
società iraniana. Fatemeh Zarrin Taj è la
prima donna iraniana che a testa scoperta e
senza hijab si presentò in pubblico, nel 1848
a Bedasht, prendendo la parola davanti a
un folto gruppo di fedeli Baha’ì. Quando era
in carcere, prima di finire impiccata, Gho-
rat al Ein disse a un inviato di Nasereddin
Shah, il monarca dell’epoca: “Potete uccider-
mi subito, quando più vi conviene, ma non
potete fermare il progresso delle donne e la
lotta per i loro diritti, che inizierà molto pre-
sto”. Ghorat al Ein è ritenuta dalle attiviste
per i diritti delle donne nella Repubblica
Islamica “la prima femminista iraniana”.
L’attività di Ghorat al Ein a favore dei di-
ritti delle donne attirò su di lei non solo l’ira
degli sciiti, ma anche di molti fedeli Baha’ì,
che definirono questa donna coraggiosa una
“puttana”. La parola “puttana” è l’aggettivo
più utilizzato dal potere in Iran per definire
le donne che hanno scritto pagine gloriose
della storia del paese. Così fu definita an-
che Forough Farrokhzad, uno dei nomi più
illustri della poesia iraniana del XX secolo.
Anche lei è considerata dalle donne irania-
ne, quelle che vediamo nelle immagini della
rivolta di Teheran in prima linea a rivendi-
care una società più libera, un “esempio da
seguire”. È difficile trovare una ragazza ira-
niana che non conosca a memoria qualche
poesia di Forough che, oltre a scrivere delle
poesie memorabili, firma anche la regia di
alcuni documentari, come
Khaneh siah ast
(La casa è nera), girato nel centro per i leb-
brosi di Tabriz. Il film fu proiettato anche
al Festival di Pesaro nel 1966 e, tre anni
prima, aveva ottenuto il premio per il mi-
glior documentario al Festival di Oberhau-
sen, in Germania. Forough scriveva in una
delle sue lettere: “finché non raggiungi un
io libero e distaccato da tutto ciò che ti im-
prigiona, non riuscirai a ottenere nulla”.
Ed è proprio la ricerca di questo “io libero”
di Forough Farrokhzad che ha trascinato
centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi
iraniani per le strade del paese. L’attualità
della poesia di Forough è impressionante e
forse per questo lei continua a essere amata,
malgrado le raccolte delle sue poesie da anni
siano state tolte dagli scaffali delle librerie
della Repubblica Islamica. Le “ragazze di
Teheran”, come titolano spesso i giornali oc-
cidentali, sono riuscite addirittura a trasfor-
mare in una sfida astuta, intrigante e anche
elegante il copricapo obbligatorio. Come le
ragazze di Teheran indossano il loro
hijab
è diventato il barometro della situazione
politica del paese. Quando sono in piazza,
a sostegno di un candidato o dell’altro, o
quando partecipano a una manifestazione
di protesta, il centimetro in più o in meno
dei capelli lasciati in vista spiega, meglio di
ogni striscione, la situazione politica del pa-
ese. A Teheran sono indicativi anche i colori
dei
foulard
. Chi ha guardato con attenzione
le immagini delle manifestazioni post elet-
torali in Iran, può verificare come il copri-
capo indossato dalle ragazze cambi secondo
il periodo e il tipo di manifestazione. Prima
delle elezioni, i ciuffi lasciati in vista erano
più discreti. Dopo, quando le manifestazio-
ni gioiose dei giorni prima del voto si sono
trasformate in contestazione, giorno dopo
giorno i
foulard
si sono ristretti e i capel-
li sono diventati più evidenti. Anche con il
foulard, e non solo con internet, si può ma-
nifestare il proprio dissenso. “Siamo tante,
determinate e orgogliose di essere irania-
ne”, dice Maryam, una giovane ragazza che
ha studiato lingua e letteratura italiana
all’Università di Teheran.
(A.R.)
Le donne
La chiave della svolta
Se qualcuno vi chiede della luna, 
arrampicatevi sul tetto e dite: è così!
Se qualcuno vi chiede l’odore del muschio,
sciogliete i vostri capelli e dite: è così!
Se qualcuno vi chiede: “Come fanno le nuvole a coprire la luna?”
slegate i lacci del vostro abito, nodo per nodo e dite: così!
Se qualcuno vi chiede: “Come Gesù resuscitò il morto?”
baciatemi sulle labbra e dite: così!
(Rumi)