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devono fare questo, gli infermieri devono
fare quello, e i pazienti? Devono fare anche
loro la propria parte. Calma, ce n’è per tutti!
Ma torniamo alla sua domanda: come si dà
una cattiva notizia? Quando capita che una
persona arriva e mi dice: “Sto bene, però
mi sono accorto che da qualche giorno mi
è cresciuta una cosa...”, lui sa già cosa sta
succedendo, perché è stato operato, ne ab-
biamo parlato, spera di sentirsi dire che non
è niente, ma ha capito che non va bene e l’ho
capito anch’io. In quel momento cosa devo
fare? La pratica medica prevede che io dica:
“Adesso facciamo qualche accertamento e se
dovesse esserci qualcosa ci rivediamo”. Io
credo invece di poter tranquillamente ma-
nifestare il mio sgomento e la mia amarez-
za, far capire cioè che ci sono rimasto male
anch’io perché così è. Possiamo essere tristi
assieme. Dopodiché dirò: “Adesso le possibi-
li strade gliele indico io”. Io ho il dovere di
intervenire con qualcosa di propositivo per-
ché questo è il mio mestiere.
I Donatori di Musica ci aiutano anche in
questo, perché avere una relazione forte,
consolidata anche dalla condivisione di quel
momento conviviale, permette di dar vita a
un’alleanza vera e di prendere delle decisio-
ni più condivise nei momenti difficili. A quel
punto il “facciamo ancora qualcosa”, oppure
il “non facciamo più niente” diventano più
credibili. Il paziente non è così stupido da
pensare che qualunque esperto ne sappia
più di lui, in fondo non si parla solo del suo
cancro, si tratta di decidere anche della sua
vita. Riuscire a instaurare un dialogo fran-
co, improntato sulla fiducia, può riuscire a
evitare i rischi di accanimento.
L’accanimento è qualcosa che nasce con un
fine positivo, quello di non chiudere una por-
ta, ma che poi degenera a causa di una valu-
tazione errata. Qui non si parla ovviamente
della macchina, dei tubi, dell’accanimento
del rianimatore.
Io definisco l’accanimento in oncologia come
il perseguimento di un bene parziale dell’in-
dividuo a scapito del suo bene complessivo.
Tu valuti gli aspetti che ti sembrano im-
portanti, ma non necessariamente lo sono
anche per il paziente, così, perseguendo un
bene parziale, alla fine rischi di essere di
danno alla persona.
Faccio un esempio banale. Mettiamo che mi
portino una persona immobilizzata sul letto
per dolori intensi legati a metastasi ossee;
una persona che ha solo il dolore come sin-
tomo. Ora, io so che non si può modificare
l’aspettativa di vita e che, però, esistono
diverse terapie che possono dargli sollie-
vo. Gli prescrivo una chemioterapia o una
radioterapia che sortisce un ottimo effetto.
Dopo un mese la persona si muove. Il medi-
co è soddisfatto: “Ma questo è un risultato
splendido!”. Ebbene, l’ammalato potrebbe
rispondere: “Si sono molto contento” e allora
avremmo centrato l’obiettivo.
Ma l’ammalato potrebbe anche dire: “Dot-
tore, se lei mi chiede se ho dolore, le devo
dire di no, ma va peggio tutto il resto: ho
perso tutti i capelli, non riesco a farmi vede-
re da nessuno, non mi guardo neanche allo
specchio. Poi sono così debole, ho sempre la
nausea, episodi di vomito, le gambe gonfie.
Insomma, se mi chiede se la mia vita è mi-
gliorata non so cosa rispondere, non vorrei
che fosse addirittura peggiorata”.
Ecco, io con questa persona ho fatto un atto
di accanimento perché avevo un’alternati-
va. Sarebbe stata più opportuna una tera-
pia antidolorifica. L’accanimento moderno è
quello di scegliere lo strumento che non è
il più idoneo. Ma la scelta dello strumento
più idoneo viene anche dal conoscersi, dal
parlarsi.
Grazie alle nuove cure, il cancro è diven-
tato sempre più una malattia cronica.
Non c’è dubbio che i trattamenti oggi dispo-
nibili consentono di controllare la malattia.
Il cancro è come il diabete, l’ipertensione,
le cardiopatie. È una malattia cronica. Tra
l’altro ha una forte probabilità di guarigio-
ne, mediamente circa il 60%, quindi para-
dossalmente è una delle più guaribili tra le
malattie croniche. Perché (almeno per ora)
non si guarisce dalla bronchite cronica, dal
diabete o da una malattia neurologica, men-
tre di tumore si guarisce.
Certo, se non si guarisce, è una malattia
cronica caratterizzata, da un lato, da una
particolare durezza degli atti terapeutici
e, dall’altro, da quest’aura quasi metafisi-
ca che ha assunto per cui sembra sia la più
brutta malattia del mondo.
Ora, proprio perché il percorso è lungo, per
me l’importante è saper gestire questa si-
tuazione ricordando sempre che noi non
dobbiamo curare la malattia, ma l’ammala-
to. Quindi anche gli strumenti e le terapie
che via via adotteremo saranno scelti assie-
me all’ammalato.
Avete avuto anche manifestazioni di so-
lidarietà inattese...
Poco dopo l’inizio della stagione ricevo
una telefonata: “Buongiorno, sono Roberto
Furcht”. Conoscevo quel nome, Furcht è un
importante grossista di pianoforti e una per-
sona con una grandissima competenza mu-
sicale spesso coinvolta in giurie di concorsi.
Mi dice: “Siete sicuri di avere uno strumento
idoneo per i vostri concerti?”. Effettivamen-
te c’era un pianoforte verticale lasciato all’o-
spedale, non uno strumento da concerto.
Rispondo: “Facciamo quello che possiamo”.
“Mi dica un po’, si offenderebbe se mandassi
un pianoforte?”. Insomma, per farla breve,
ci fornisce un pianoforte in comodato d’uso
che tuttora è lì e che io spero piano piano di
riuscire a comperare.
Perché vuole comprare il pianoforte?
Perché prima della mia pensione vorrei riu-
scire a lasciare questo strumento con il nu-
mero di inventario.
Furcht ha fatto capire che per lui è donato,
però non è la stessa cosa: fino a quando non
sarà di proprietà dell’azienda sanitaria, ri-
marrà una cosa che non è censita da nessu-
na parte, che oggi c’è e domani non c’è più...
Se invece diventa di proprietà dell’ospedale,
chi verrà dopo di me, se non lo vuole dovrà
farlo scaricare dall’inventario, insomma do-
vrà marcare una discontinuità. Ecco perché
ci vogliamo mettere la targhetta. La tar-
ghetta significa che è inventariato, che è
una delle “apparecchiature” del reparto.
(a cura di Barbara Bertoncin e Edi Rabini,
Una città n° 200, febbraio 2013)
riuscire a instaurare un dialogo franco,
improntato sulla fiducia, può riuscire
a evitare i rischi di accanimento
il cancro, paradossalmente,
è una delle più guaribili tra
le malattie croniche