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RobertoProsseda, pianista, è noto soprattutto
per le incisioni dedicate a musiche inedite
di Felix Mendelssohn. È presidente del Co-
mitato artistico dei Donatori di Musica.
Da dove viene la tua passione per la
musica?
Mio padre, che è mancato nel 2010, era un
insegnante di inglese, molto appassionato
di musica, quindi a casa c’erano molti stru-
menti, che io fin da piccolo avevo considera-
to un po’ dei giocattoli. Il più grande era il
pianoforte, quindi quello che mi attraeva di
più. Ecco, il mio rapporto con il pianoforte
è cominciato cercando di piallargli un ango-
lo con una pialla giocattolo che mi avevano
regalato. Non sono neanche stato rimpro-
verato; anzi, l’idea che questo pianoforte
avesse attratto la mia attenzione -anche se
non esattamente come i miei genitori spera-
vano- è stata presa positivamente. Ma non
sono mai stato forzato a suonarlo. Da solo
ho scoperto le note; come tanti bambini che
hanno un buon orecchio riuscivo a riprodur-
re delle melodie, delle canzoncine. Ho impa-
rato a scrivere la musica prima di imparare
a scrivere le lettere. Sono stato fortunato
da questo punto di vista, perché non è stata
una difficoltà. Molto spontaneamente e gra-
dualmente ho capito che poteva diventare
la mia attività principale -non voglio dire
professione, perché sarebbe riduttivo. Noi
musicisti abbiamo questa fortuna di unire
la passione con ciò che dobbiamo fare per
vivere.
A posteriori dico che per me è stato impor-
tante fare concorsi senza vincerli. Non ho
mai vinto un primo premio in un concor-
so molto importante; questo mi ha spinto
a cercare il motivo vero del perché faccio
musica e a scoprire che il senso per me sta
nello spirito della condivisione. La condivi-
sione è centrale nella mia ricerca; condivi-
sione per me vuol dire comunicare le cose
belle che scopriamo grazie alla musica. La
musica esiste quando viene vissuta insie-
me, quando diventa occasione di scambio, il
che, per accadere, necessita evidentemente
di almeno due persone; questa dimensione
dello scambio può avvenire in un concerto,
quando si parla di musica, in una lezione tra
insegnante e allievo; per me avviene soprat-
tutto nei concerti dei Donatori di Musica.
All’origine del tuo rapporto con i Dona-
tori di Musica c’è l’incontro con Gian
Andrea Lodovici.
Proprio nel momento in cui avevo deciso di
non fare più concorsi, avendo capito che non
era quella la mia strada, ho incontrato Lo-
dovici. Parliamo del 2002-2003: l’occasione
fu un disco di musiche di Muzio Clementi
prodotto per la Arts, l’incisione completa de-
gli studi per pianoforte “Gradus ad Parnas-
sum”. Io ero uno dei dieci pianisti coinvolti
e così, grazie a questa operazione, lo conob-
bi e poi rimanemmo in contatto per lo più
telefonicamente. Ogni tanto lo chiamavo:
avevo capito che a lui piaceva condividere
le sue riflessioni con giovani artisti; per me
era un privilegio, visto che da lui c’era mol-
to da imparare. In una di queste telefonate,
mi disse: “Secondo me, potresti dedicarti a
Mendelssohn”. Io, all’epoca, lo consideravo
un autore abbastanza noioso, scomodo da
suonare. Gli risposi: “Ma Mendelssohn non
lo suona nessuno, è difficile, accademico...”.
Lui aveva insistito: “Ma no, guarda che ci
sono delle cose interessanti, degli inediti...”.
Alla parola “inedito” mi si è accesa una scin-
tilla. Ho sempre avuto la passione di fare
qualcosa che avesse un minimo di utilità,
diciamo così. Spesso noi musicisti classici
siamo molto autoreferenziali e tendiamo a
fare ciò che già si fa: non solo a riprodurre
musica preesistente, che è ovvio, ma anche
interpretazioni preesistenti. Avevo proprio
voglia di fare qualcosa di non preesistente
e, avendo saputo che c’erano degli inediti,
mi sono messo alla caccia. Lodovici non mi
aveva detto molto di più, ma mi aveva dato
qualche dritta, quasi come in una caccia al
tesoro. Da lì sono riuscito, grazie all’aiuto
suo e di altri musicisti e musicologi, a trova-
re dei manoscritti e quindi anche gli stimoli
per seguirli, studiarli. Una cosa che spero
ci sia sempre nel mio percorso è proprio
questa gioia della scoperta. La musica va
riscoperta continuamente. Pensiamo a cosa
dev’essere stata la prima esecuzione di una
sonata di Beethoven! Sarebbe bello anche
oggi riproporre quell’atmosfera di sorpresa,
entusiasmo, o anche delusione: insomma,
che il pubblico non sappia già cosa ascolterà
e come verrà suonato.
Comunque è stato così che ho conosciuto Lo-
dovici.
Poi lui si ammalò. Quando capì la gravità
del tumore, mandò una lettera a tutti gli
amici, una lettera di addio. Era la primave-
ra del 2007 e lo scritto suonava più o meno
così: cari amici, vi saluto, adesso io sparisco,
mi mancano pochi mesi, non ho speranze di
guarigione... Insomma, un congedo, anche
piuttosto triste. Dopo due mesi venne rico-
verato in Oncologia a Carrara.
Lì successe qualcosa. Il primario, Maurizio
Cantore, gli chiese: “Cosa fai nella vita?”, e
lui: “Facevo il produttore discografico, or-
ganizzavo concerti...”. “No, non facevi, fai,
mica sei morto”. “Eh, ma ormai sono qui,
cosa posso fare?”. “Puoi organizzare una sta-
gione di concerti in reparto!”.
La cosa è nata così. Dopodiché Gian Andrea
chiamò me e mia moglie chiedendo se aveva-
mo voglia di andare in ospedale e noi: “Cer-
to, veniamo a trovarti”. “No, no, intendevo
a suonare, a fare un concerto”. E così an-
dammo e suonammo, proprio della musica
di Mendelssohn, tra l’altro. Suonai anche un
inedito di Mendelssohn in prima esecuzione
mondiale. Per dieci pazienti!
Noi capimmo molte cose in quel concerto,
così come nei successivi: cioè che lì veramen-
te vai al cuore della musica e del senso che
ha per noi dedicare la vita alla musica, che
è appunto di suonare per gli altri. Quando
suoni per dei pazienti, alcuni dei quali pro-
babilmente non ascolteranno altri concerti,
evidentemente cambia anche l’approccio. Lì
la musica diventa davvero un dono reciproco.
Donatori di Musica è nato così, quando al-
cuni di noi, che erano andati ai primi con-
certi, ma anche i pazienti e gli stessi dottori,
si resero conto che attorno a quel concerto
succedeva qualcosa di magico: non era un
concerto come un altro, non era neanche
un’attività ricreativa per distrarli. Un con-
certo, infatti, facilmente ti porta a riflettere
su questioni esistenziali, anche sulla morte.
Non è vietato suonare una marcia funebre.
In generale i pazienti non dicono molto. Si-
curamente si avverte della gratitudine. Una
riconoscenza che è reciproca. Ovviamente
che il concerto si tenga in un ospedale resta
una cosa abbastanza spiazzante e insolita.
Quanto a quel pubblico così speciale, da un
lato verrebbe da dire che è veramente un
pubblico ideale, ma, per certi versi, non lo
è affatto, perché non ti mette a tuo agio,
nel senso che ti carica di grandi responsa-
bilità suscitando un senso di impotenza, di
frustrazione: cosa posso fare per loro? Però
ti aiuta anche a dare le giuste priorità alle
cose. Avere l’occasione di parlare con queste
persone che magari proprio nella sofferenza
hanno trovato una felicità... è un grande sti-
molo, un privilegio.
State discutendo su come allargare
questa esperienza ad altri luoghi di
cura...
Ci stiamo interrogando su come far sì che
le stagioni di Donatori di Musica possano
essere presenti anche in altri ospedali, pre-
servando però le caratteristiche peculiari di
questa esperienza. Il rischio è che rimanga
l’involucro, il contenitore, e vengano meno
i principi, la sostanza. Oggi sono coinvolti
sette ospedali e vorremmo che diventasse
qualcosa di più stabile, strutturato.
Intanto abbiamo creato un piccolo comitato
artistico per selezionare i musicisti dal pun-
to di vista musicale ma anche umano. Esiste
anche un protocollo medico che indica le va-
rie fasi necessarie affinché un ospedale pos-
sa chiedere di far parte di Donatori di Mu-
sica. Ci vuole intanto una richiesta da parte
dell’ospedale. Non è giusto andare a bussare
alla porta, chiedere a un ospedale di poter
ospitare una stagione. È qualcosa che deve
nascere da un bisogno sentito. La richiesta
deve essere sottoscritta anche dal direttore
sanitario: abbiamo sperimentato che non
basta la buona volontà del singolo per far
Un pubblico speciale
Una passione per la musica nata da bambino, l’incontro con Gian Andrea Lodovici, la sua intuizione su Mendelssohn e
quell’invito ad andare in ospedale, ma non a trovarlo, bensì a fare un concerto... Intervista a Roberto Prosseda.
suonai anche un inedito
di Mendelssohn in prima esecuzione
mondiale. Per dieci pazienti!