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Claudio Graiff, oncologo presso l’ospedale
di Bolzano, è tra i fondatori di “Donatori di
Musica” (www.donatoridimusica.it).
Da alcuni anni, assieme ad altri, ha
dato vita a “Donatori di Musica”, una
rete di musicisti, medici e volontari
che organizza stagioni di concerti negli
ospedali. Può raccontare?
La storia dei Donatori di Musica è comin-
ciata nel 2007 dall’incontro di due persone:
Gian Andrea Lodovici, un musicologo, di-
rettore artistico di un’importante casa di-
scografica, che si trova a frequentare, come
degente, il reparto di Oncologia dell’ospeda-
le di Carrara, con una malattia purtroppo
molto avanzata e ben consapevole della sua
aspettativa di vita; l’altra persona è Mauri-
zio Cantore, il primario di quel reparto, un
medico da sempre capace di instaurare delle
relazioni forti e credibili con le altre persone.
Gian Andrea Lodovici a un certo punto but-
ta là una proposta: “Perché non proviamo
a organizzare un concerto? In fin dei conti
questo è il mio mestiere, mi piacerebbe mol-
to...”. Il medico accetta volentieri. Non è la
prima volta che si fanno delle attività diver-
se da quelle strettamente cliniche in quel re-
parto, però questa si dimostra subito molto
coinvolgente e quindi si decide di ripeterla.
Così, finché Lodovici ha le energie, ogni tan-
to organizza una serata, un concerto, invi-
tando alcuni musicisti che sono anche amici
suoi. Nel frattempo capita che Maurizio e io
ci incontriamo a un convegno. Ci conosceva-
mo già, eravamo amici, essendo uniti anche
da una condivisione sul senso del nostro me-
stiere. Lui mi racconta questa cosa e vede
-me l’ha detto dopo- un luccichio nei miei
occhi, che lui imputa al mio interesse per la
musica... in realtà io mi ero commosso per il
senso che intravedevo in questa possibilità.
Nel frattempo, Lodovici, a soli 48 anni, pur-
troppo se ne va, ma prima di morire esprime
l’auspicio che la “Grande Musica divenga
sempre più strumento di importante aiuto
alle cure mediche in ogni reparto di onco-
logia”. Teniamo presente che sono le parole
di un ammalato che ha sperimentato su di
sé cosa poteva significare organizzare e se-
guire questi concerti. Ecco, Lodovici lascia
queste parole e passa il testimone a Roberto
Prosseda, uno dei più importanti pianisti
italiani, che lo raccoglie con entusiasmo,
coinvolgendo anche sua moglie, pure lei pia-
nista, che è poi l’ideatrice del nome dell’As-
sociazione.
Nasce così l’idea di costruire una rete di mu-
sicisti, medici, volontari, infermieri, psico-
logi, ammalati, familiari, insomma di tutte
le persone coinvolte, con l’obiettivo di darci
una maggiore sistematicità.
Diceva che i concerti in reparto non
sono un’iniziativa benefica o ricreati-
va. C’è dell’altro e ci sono anche delle
regole...
A marzo 2009 nasce la rete. Raccolte le ade-
sioni dei primi musicisti, si comincia a pre-
disporre una serie di regole di base. Vengo-
no stabiliti alcuni piccoli paletti: intanto le
iniziative non devono essere episodiche ma
continuative, altrimenti si perde il senso.
Non ci deve essere distanza tra il musicista
e gli altri, quindi lo strumento è in mezzo
alla sala. Sia da noi che a Carrara il concer-
to si svolge nella sala d’attesa del reparto. Il
musicista poi è pregato di non indossare un
abbigliamento “di funzione” e così tutti gli
operatori sanitari e gli ammalati. La tota-
le indistinguibilità è uno degli elementi del
progetto: significa che in quel momento nes-
suno ricopre un ruolo istituzionale.
Questo non è un concerto per gli ammalati,
non è un’iniziativa benefica, è qualcosa che
si fa tutti assieme e da cui trae beneficio lo
stesso musicista. La particolare sensibilità
e l’esperienza di vita degli ammalati e dei
familiari, ma anche degli operatori sanitari,
sono infatti uno stimolo poderoso alla matu-
razione del musicista che quindi dona e rice-
ve, tant’è vero che spesso ci dicono di avere
più ricevuto che dato.
Questo ritorno molto forte ha fatto sì che la
rete raccogliesse molto velocemente adesio-
ni di un gran numero di musicisti. E qui in-
terviene un altro criterio, nel senso che non
tutti quelli che si propongono vengono invi-
tati. Ci sono dei requisiti necessari: si deve
trattare di musicisti professionisti con una
carriera internazionale di un certo livello.
Insomma, non accettiamo tutti, o meglio,
visto che sarebbe sciocco non accettare una
persona che, pur essendo un dilettante, de-
sidera dare il suo contributo, facciamo delle
manifestazioni a latere, che però non rien-
trano nel progetto.
Infine c’è la gratuità, che è fondamentale,
ma non va intesa in senso esclusivamente
economico (in realtà grazie a qualche spon-
sor riusciamo almeno a rimborsare le spese
vive). Gratuità significa che il musicista non
deve attendersi alcun compenso e nemmeno
un ritorno in notorietà. Questo serve anche
a noi per essere certi dello spirito con cui il
musicista si propone. Molti ci chiedono: “Se
ne sa così poco... Perché quando fate concer-
ti non lo annunciate nei giornali?”. Perché è
una cosa tra di noi.
Nel 2009, con questo minimo di teorizzazio-
ne alle spalle, attraverso la rete del Collegio
italiano primari e oncologi medici ospedalie-
ri (Cipomo) abbiamo scritto una breve let-
tera presentandoci agli ospedale interessati.
Nella primavera dello stesso anno siamo
partiti, inizialmente in due, Bolzano e Car-
rara. Si sono poi uniti l’ospedale di Sondrio e
quello di San Bonifacio di Verona, dove l’ini-
ziativa, successivamente interrotta, aveva
coinvolto un reparto chirurgico. D’altra par-
te, organizzare non uno, ma venti concerti
all’anno non è così semplice, bisogna creder-
ci. In seguito si sono aggiunti il San Camillo
Forlanini di Roma e, più recentemente, Bre-
scia e Vicenza. L’ultimo in ordine di arrivo
è Saronno.
Voi pretendete anche che sia garantita
l’eccellenza medica dei reparti coinvolti.
Quello che per noi è davvero un requisito
fondamentale è l’eccellenza nell’accoglienza.
D’altra parte non esiste eccellenza clinica
senza relazione.
Uno studio pubblicato recentemente ha di-
mostrato che gli ammalati seguiti da medici
“empatici” presentano meno complicanze
acute e una migliore aspettativa quantita-
tiva di vita. Un risultato clinico positivo può
venire in pari misura dal migliorare la tua
capacità empatica o dall’utilizzare l’ultimo
nuovissimo farmaco, si figuri cosa possiamo
ottenere se mettiamo insieme le due cose!
Io, poi, quando parlo di eccellenza intendo
una cosa precisa, cioè far bene il proprio me-
stiere. L’eccellenza per me è il piastrellista
che alla fine del lavoro passa la mano ed è
contento del risultato; l’eccellenza non è la
cosa straordinaria, è la cosa normale fatta
come meglio si può.
Perché questi concerti sono un momen-
to importante nella vita degli ammala-
ti, dei medici e degli infermieri?
Per gli ammalati e gli operatori questo pro-
getto significa il coinvolgimento della socie-
tà nelle attività di cura degli ammalati. È
importante che questa società, che ha deci-
so di costruire gli ospedali fuori dalle città,
si riappropri della cura dei suoi ammalati,
perché se è vero che il compito della terapia
compete ai tecnici, il compito della “cura”
compete a tutti. A volte pretestuosamente si
tirano fuori motivazioni di carattere tecni-
co, di accessibilità, ma sappiamo benissimo
che esistono strutture molto frequentate che
sono ubicate nel cuore delle città. Basti pen-
sare all’Hôtel Dieu di Parigi che è sotto la
chiesa di Notre Dame. La realtà è che oggi
la malattia in qualche modo “stona”.
Lei dice che l’attuale organizzazione
sanitaria rischia di far sì che l’esse-
re ammalati diventi un mestiere. Può
spiegare?
Oggi molte persone vivono la loro malattia
come un continuo dentro e fuori, perché cer-
te cose si possono fare solo in ospedale, se
poi ci aggiungiamo la dislocazione geogra-
fica, di cui dicevamo, e una sorta di apar-
In sala d’attesa
Stagioni di concerti nei reparti di oncologia, in cui sono coinvolti tutti e alla fine anche il musicista ringrazia; la diffusione del-
la medicina “difensiva” che scarica tutte le responsabilità sul malato; l’eccellenza dell’accoglienza e quel sogno di comprare
il pianoforte. Intervista al dott. Claudio Graiff.
se è vero che il compito della terapia
compete ai tecnici, il compito della
“cura” compete a tutti
non ci deve essere distanza
tra il musicista e gli altri, quindi
lo strumento è in mezzo alla sala