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La decisione di premiare i “Donatori di Mu-
sica” -una rete di artisti, medici, infermieri e
volontari che prende il nome dall’impegno a
organizzare, prevalentemente in reparti on-
cologici, stagioni di concerti- può sembrare
una rottura con la tradizione che per anni
ha visto la Fondazione Langer privilegiare
l’opera di pacificazione e di soccorso in luo-
ghi di conflitto e di crisi umanitaria. Più che
una rottura, però, è uno spostamento: dal
lontano al vicino, dall’emergenza alla quoti-
dianità, dalla cura della vita offesa alla cura
della vita pericolante. E non solo: se c’è un
tratto che accomuna i nostri premiati è la
scelta nonviolenta, e di nonviolenza la pra-
tica medica ha un profondo bisogno.
Quando Gandhi, e dopo di lui Illich, denun-
ciavano gli effetti patogeni della moderna
medicina, il bersaglio erano sia lo speciali-
smo, sia la violenza potenziale legata alla
disparità di conoscenze, padronanza, potere
fra chi soffre e chi cura. A maggior ragione
nella malattia oncologica, in cui il malato
può vivere momenti di vulnerabilità estre-
ma, in cui il corpo può ridursi a un groviglio
di sofferenza nelle mani di chi ha la facoltà
(e l’onere) di decidere le terapie, i tempi, i
modi e i luoghi in cui applicarle.
Oggi la medicina ha imparato a riflettere su
se stessa, sulla propria vocazione, sul pro-
prio ambiente; da anni in molti ospedali c’è
chi si sforza di “umanizzare” la degenza pro-
muovendo iniziative per lo svago e la socia-
lizzazione. Giusto, ammirevole.
Ma i Donatori puntano a qualcosa di diver-
so: a contrastare un modello di medicina
che ancora tende a sequestrare il paziente
in una enclave istituzionalizzata, a rinchiu-
derlo nell’identità esclusiva di “malato di
cancro” – e qui viene spontanea un’analogia
con gli interventi in situazioni di guerra ci-
vile o di catastrofe naturale, dove i colpiti
sono vittime, certamente, ma non vittime
soltanto, e amerebbero avere rapporti da
persona a persona, non da bisognosi a soc-
corritori.
Per rompere la segregazione, per dare spa-
zio alle molte cose che un malato continua a
essere, la via maestra è costruire legami fra
i degenti, i loro familiari e amici, gli artisti,
gli operatori sanitari. Un lavoro che non può
accontentarsi della performance isolata per-
ché vuole tempi lunghi, continuità, sapienza
sedimentata, un contorno coerente.
è in questa prospettiva che il concerto pren-
de senso come strumento e simbolo di con-
divisione: si discute, lo si prepara insieme,
insieme si vive la beatitudine che la musica
sa dare, si gusta il cibo che accompagna l’in-
contro. E insieme si cambia.
La presenza nel reparto dei musicisti, un
pezzo di mondo dal quale i pazienti sono
stati esclusi o si sono lasciati escludere, ha
consentito -dicono i Donatori- una “rivolu-
zione imbarazzante” per la sua semplicità:
iniziata dalla consapevolezza che ognuno è
nello stesso tempo sano e malato, spesso in
transito da una condizione all’altra, la rivo-
luzione è approdata alla scoperta che non
necessariamente il paziente è la figura che
chiede e riceve, può altrettanto bene esse-
re quella che offre e dà. In questa logica di
scambio, l’artista porta la sua musica, gli
operatori le proprie conoscenze, i malati il
proprio sapere: esperienza del dolore, ma
non soltanto, anche storia della vita che si è
vissuta e si spera di tornare a vivere.
è un insieme che protegge dal rischio di
diventare, proprio malgrado, “malati pro-
fessionali”. Ed è una critica pratica alla
nostra cultura, in cui il cancro è avvolto da
un’aura perturbante che rende difficile per-
sino nominarlo e che può falsare i rapporti
e le parole. L’esperienza dice che ci si può
opporre. è proprio dall’esperienza nascono
i Donatori.
Nel 2007 un musicologo e direttore artisti-
co, degente all’ospedale di Carrara, propone
al suo primario di organizzare un concerto
-quel che faceva prima e vuol continuare a
fare nel modo in cui gli è possibile. L’esperi-
mento ha una ricaduta bella e fattiva oltre
le previsioni, tanto che l’evento si trasforma
in sistema, e invoglia altre persone, altre
istituzioni -gli ospedali di Bolzano, Brescia,
Saronno, Sondrio, Vicenza, il San Camillo
Forlanini di Roma.
Un progetto così semplice e così ambizioso
esige regole e patti. Agli artisti chiede, insie-
me all’eccellenza professionale, sensibilità e
riserbo: nessun turismo umanitario, nessu-
na autopromozione o ritorno di immagine.
Agli operatori chiede un lavoro costante di
informazione calibrato sul livello diffuso di
conoscenza della malattia e delle opzioni te-
rapeutiche. A tutti si chiede empatia, rispet-
to reciproco, messa in discussione dei ruoli:
nel setting del concerto, nessuno ha un ab-
bigliamento “di funzione”, a significare che
si tratta di una performance diversa da ogni
altra.
Ma nella cura il medico non abdica al suo
ruolo. Lo svolge con più consapevolezza del
punto di vista del malato, ma anche dei pro-
pri disagi, difficoltà, debolezze, da affronta-
re insieme. A differenza che nella direttiva
“il malato è al centro”, che lascia spesso la
decisione nelle mani del medico, qui al cen-
tro è il rapporto. E quel rapporto è la con-
dizione per una buona alleanza e una mo-
dalità di cura non accanita e non bellicosa
-come avviene invece nella diffusa tendenza
a concepire la terapia come guerra, duello,
prova di forza.
La priorità delle relazioni è l’altra faccia
della “rivoluzione imbarazzante”: mentre
ancora oggi l’“umanità” del curante è consi-
derata dagli stessi pazienti un (pregevolissi-
mo) di più, per i Donatori è parte integrante
dell’eccellenza professionale. Senza la quale
non c’è buona medicina né buona terapia.
Questo impegno complessivo non è materia
per un progetto di riforma sanitaria; è ma-
teria per un lavoro di riforma interiore, la
stessa strada che porta a scegliere la non-
violenza e a decidere consapevolmente della
propria vita.
Enzo Nicolodi
(presidente Fondazione),
Fabio Levi
(presidente Comitato scientifico)
Anna Bravo
(relatrice)
La scultrice sudtirolese Sieglinde Taz Borgogno
ha inserito nel suo “Giardino delle statue” a Pochi
di Salorno (BZ) un bronzo dedicato ai Donatori
di Musica, accanto ad altre opere che ricordano
Alexander Langer e tutti i premi a lui dedicati.
Motivazioni del Premio Alexander Langer ai Donatori di Musica
L’arte del prendersi cura