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II tema “Infermiere e pianeta” lascia riflet-
tere su di una analogia: il “pianeta” è un pa-
ziente, un paziente forse di “Area critica”,
come voi dite.
E in tal senso, probabilmente, tutti quanti ci
troviamo nella necessità di fare da infermie-
ri o da medici, dal momento che la salute del
pianeta oggi, per molte ragioni che io adesso
qui non elenco, è spesso in “Area critica”. La
sua condizione di paziente è forse dovuta ad
alcuni fenomeni mai esistiti in epoche pre-
cedenti. Dalla Seconda guerra mondiale, ma
soprattutto dagli anni Sessanta, il pianeta,
non riuscendo più a vivere dei frutti, intacca
ormai l’albero. La rigenerazione oggi è se-
riamente compromessa. La quantità di in-
quinamento chimico, ma anche radioattivo,
causa l’appesantimento complessivo dei pol-
moni verdi della terra (le foreste, i boschi);
non ha mai raggiunto i tassi di oggi e non
può che crescere. L’effetto serra, di cui tanto
si sente parlare, è destinato solo a crescere.
Secondo gli esperti, dalla fine della Seconda
guerra mondiale a oggi, un quarto degli al-
beri della terra è sparito: è come se a ognu-
no di noi fosse stato tagliato un quarto dei
suoi polmoni. La mutilazione è quindi molto
forte. È stato calcolato, anche se non siamo
in grado di controllarlo, che oggi sulla terra
si brucia in un giorno una quantità di com-
bustibili fossili (benzina, carbone, sostanza
biologica depositata) per la cui formazione
sono stati necessari mille anni. La spropor-
zione tra distruzione ed eventuale ricostru-
zione o salvaguardia è quindi enorme. Ed è
interessante a tal proposito notare come la
lista delle tecnologie ambientali sia lunga
almeno quanto quella delle tecnologie sani-
tarie.
Si discute se per salvare questo pazien-
te occorra una forte autorità, un dirigismo
che sostanzialmente e centralmente decida
quanto si può prelevare dalla dispensa del
pianeta, chi deve controllare il razionamen-
to, a chi spetti eventualmente fare e con-
sumare i prelievi e così via. Come succede
anche nella vostra professione, molto spesso
non si riesce a capire come mai un paziente,
seppure avvertito e consapevole della gravi-
tà della sua malattia, della sua situazione,
non abbia né la capacità né la forza neces-
sarie ai cambiamenti. In tal senso è inutile
parlargli della nocività del fumo, dell’alcol o
dello stress, se essi non hanno già compro-
messo la sua salute; i meccanismi che spin-
gono nella direzione distruttiva sembrano
dunque più forti.
Le norme, le tecniche e le burocrazie non
riescono a dare una risposta adeguata alla
malattia ma possono, a volte anche molto
efficacemente, curare semmai dei sintomi,
bloccare dei degradi e forse anche invertirli.
Nell’insieme possiamo dire che la tenden-
za che porta al diffondersi così endemico
di malattia non si corregge se non si lavora
per una svolta, per una conversione, per un
cambiamento.
Il tipo di cambiamento che ritengo sia richie-
sto per la salute del pianeta mi pare che oggi
consista essenzialmente nella individuazio-
ne e nell’accettazione di limiti. Se fosse qui,
Ivan Illich probabilmente parlerebbe della
soglia della controproduttività, superata la
quale il progresso alla fine si ritorce contro
se stesso. È come se si dicesse: “La macchina
dà libertà di movimento a tutti, ma se tutti
la usano c’è l’ingorgo”. Il vantaggio acquisi-
to da questa promessa tecnologica di libertà
viene così capovolto e conduce a paralisi e
frustrazione. Saper scoprire, accettare, va-
lorizzare i limiti, rendersi conto che molte
volte il minimo può dare il massimo, ci ren-
de consapevoli del fatto che nella difficile ac-
cettazione di un limite possiamo individua-
re aspetti positivi.
La questione dei limiti e dei confini è quel-
la che maggiormente ho visto collegata alla
vostra professione. Mi sembrate un po’ come
delle guardie di un confine molto delicato;
che spesso lavorano per spostare un po’ più
in là il confine tra la morte e la vita.
C’è un secondo parallelo tra “infermiere e
pianeta” che vorrei sottoporvi. L’arte sa-
nitaria e quella agricola, fin dall’antichità,
hanno entrambe operato per correggere e
migliorare la natura. Gli specialisti delle
due arti, cioè i contadini, i medici, gli in-
fermieri, gli stregoni, i sanitari in genere,
anche nelle loro versioni femminili, si sono
sforzati di migliorare la natura rilevandone
i limiti e hanno quindi senz’altro lavorato
per spostare il confine. Si pensi, ad esem-
pio, alla fertilità spontanea della terra, alla
durata della vita, al dolore, alla sofferenza,
alla riparabilità dei guasti e dei danni che
possiamo provocare.
Agricoltura e medicina, che dall’inizio del-
l’umanità intervengono per correggere la
natura, oggi appaiono (ritornando alla ri-
flessione di Ivan Illich) come un monumento
alla controproduttività, dove è stata supera-
Alexander Langer
Infermiere e pianeta,
elogio della gratuità