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disponibili a fare questo percorso con te. Un
po’ mi dispiace, ma io ho fatto una grande
scelta all’inizio: ho visto subito gli amici che
erano disposti, disponibili, capaci -perché
anche di questo si tratta- di accompagnar-
mi in questo cammino, e quelli che invece
non lo erano, per difficoltà proprie, magari
di comprensione, perché è vero che il cancro
non è più la malattia killer di una volta, ma
resta pur sempre una malattia difficile da
sopportare, da descrivere. è una malattia in
cui tu devi essere seguita quotidianamente
da chi ti vuol capire. E allora per forza sele-
zioni gli amici. Gli amici che restano hanno
però un ruolo fondamentale. Le persone che
invece facevano finta di niente sono uscite
dalla mia vita.
Per i familiari vale lo stesso discorso degli
amici: bisogna scegliere. Nel mio caso non
ho dovuto neanche scegliere: avendo una fa-
miglia minuscola ho visto subito chi c’era e
chi non c’era. E chi c’era era un familiare
nemmeno familiare perché era il mio com-
pagno di vita, Claudio, che è stato in questi
anni l’unica persona che mi ha accompagna-
to sempre a fare la terapia, dai medici, a
ricevere i risultati. E io credo che abbiamo
sofferto esattamente dello stesso stress, io
malata e lui no.
Deve essere terribile vedere una persona
di famiglia stare male, sopportare cure e
non poter fare assolutamente niente, per
cui c’è questa dedizione, che nel mio caso è
stata assoluta. Se riesco ad affrontare così
la malattia, certamente per metà è merito
suo. Ma questa dedizione assoluta il fami-
liare o l’intera famiglia, quando c’è, quanto
la paga? Certamente il prezzo è altissimo.
Io lo so perché in altri tempi, quand’ero gio-
vanissima, ho avuto una mamma malata
di una malattia simile, che a quei tempi si
curava poco, infatti resistette solo un anno.
Ebbene, per me, allora sedicenne, fu un
anno terribile, che mi ha segnato per tutta
la vita. Da allora ho vissuto proprio con la
paura di queste malattie, di star male, di
soffrire quanto ha sofferto lei. Ecco, la paura
del dolore è ancora una cosa molto rilevante
in queste malattie. Il fatto che il dolore oggi
possa essere neutralizzato grazie a farmaci,
a terapie apposite, mi sembra una conquista
straordinaria.
Già, la qualità della vita, come suol dir-
si. Ecco, tutte queste persone, i medici, gli
infermieri, gli psicologi, i familiari e poi le
terapie, che sono fondamentali, insieme rie-
scono a farti godere di una qualità accetta-
bile della vita. Che tu sai che ha un termine.
Ma ciascuno di noi lo sa. Il giorno in cui mi
hanno comunicato al cellulare che una mia
carissima amica aveva avuto un infarto, io
stavo entrando in ospedale per una cura.
Dove stava la differenza? Non c’era. Quel-
la che gli statistici chiamerebbero speranza
di vita, da un momento all’altro è diventata
molto più breve per l’amica che fino all’altro
giorno non aveva avuto niente e più lunga
per te che da anni ti curi e soffri, portandoti
dietro tutto il bagaglio di una malattia gra-
vissima.
Questa presa d’atto della non differenza,
della non diversità, è per me molto recente
e, in questo, lo psicologo mi ha aiutato mol-
to. Voglio dire, anche tenendo conto della
teoria delle probabilità, non so quanto sia
maggiore quella di morire in un incidente
automobilistico o per un male improvviso.
Una mia collega di università qualche anno
fa è andata a letto normalmente la sera e al
mattino non si è risvegliata.
Qual è la differenza tra me e lei? La mia sca-
denza non è più vicina di quella degli altri.
Certo, io vivo più di altri con l’idea delle sca-
denza, ho più difficoltà a far programmi, non
posso dire: “L’anno prossimo farò un viaggio
in Australia…”. Sì, questo non lo dico più,
però due settimane prima, se sto bene, mi
organizzo il mio viaggio in Australia.
Insomma, impari a vedere in modo diverso
il male che può arrivare improvvisamente.
Io ho avuto tante lezioni di vita in questo
periodo. Ho avuto anche una collega che, col
mio stesso male, è vissuta molto meno. A un
certo punto ha saputo che le terapie non sa-
rebbero state più utili e ha deciso di non far-
le più. Anche quella è una scelta. Una scelta
in cui sai come va a finire. Sono comunque
scelte che, finché stai bene di testa, puoi fare
anche tu.
Ecco, la mia vera preoccupazione è quella
di arrivare a un momento in cui non sarò
più capace, lucida, per fare le mie scelte. Per
questo vorrei che anche nel nostro paese ci
fosse la possibilità di fare il testamento bio-
logico, perché la ritengo una cosa fondamen-
tale, un indice di civiltà.
(
a cura di Gianni Saporetti.
La versione integrale è uscita su
Una città n° 117, nov./dic. 2003)
riuscire più a far niente, nemmeno a leggere
il giornale o un libro. Avevo subìto un’opera-
zione lunga e complicata, quindi può darsi
che fosse anche la conseguenza di questo.
Avevo il cervello completamente svuotato,
mi sembrava di non ricordare più nulla, di
dovermi focalizzare solo su quello, sul male
che sentivo, sulla ferita fisica da guarire.
Poi, invece, piano piano, seppur con l’inizio
della chemioterapia, tutto è un po’ cambia-
to, ma c’è voluto molto tempo; ed è cambiato
con un lavoro su me stessa veramente lun-
go, confrontandomi anche con altre persone.
Lì ho visto che l’unica soluzione era quella
di continuare a svolgere il proprio lavoro,
pur nelle difficoltà di programmazione che
subentrano. Tu non sai mai se starai bene il
tal giorno, se la terapia te la fissano di giove-
dì o di venerdì o chissà quando…
Sì, penso che vada difesa la normalità. E la
normalità è innanzitutto riuscire a fare il
proprio lavoro.
Io sono stata fortunata perché ho un lavo-
ro, quello di docente universitario, in cui gli
orari sono abbastanza gestibili. Però, ecco,
già in questo il ruolo degli amici diventa in-
dispensabile.
Ad esempio, nella settimana successiva
alla chemioterapia io non sono in grado di
fare lezione, ma per fortuna ho un pool di
amici-colleghi disposti a sostituirmi in qua-
lunque momento; dico pool perché sono tan-
ti e si dividono i ruoli, non tutti hanno le
stesse competenze, per cui a seconda delle
necessità va uno o va l’altro. E questa è una
grande fortuna, che però si costruisce, an-
che raccontando via via agli amici le diffi-
coltà. E selezionando, perché non tutti sono
è una malattia in cui tu devi essere
seguita quotidianamente da chi ti vuol
capire. E allora selezioni gli amici
vorrei che anche nel nostro paese ci
fosse la possibilità di fare il testamento
biologico, lo ritengo fondamentale