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funzionare il tutto. Senza l’appoggio anche
formale e ufficiale della struttura si rischia
di creare conflitti, anziché armonizzare.
È importante far capire che i concerti di Do-
natori di Musica non sono solo concerti negli
ospedali, ma qualcosa di più. Il concerto è
una leva, un’occasione per provare a cam-
biare i rapporti tra le persone.
I concerti di Donatori di Musica hanno luo-
go dove c’è già un’eccellenza nell’attenzione
alle persone, nel rapporto tra medici e in-
fermieri con i pazienti. Se tutto questo non
c’è, evidentemente si può lavorare per predi-
sporlo; in questo senso, conoscere Donatori
di Musica può essere forse uno sprone, un
pretesto per iniziare a cambiare le cose. È
importante che chi viene a conoscere l’espe-
rienza di Donatori di Musica capisca esat-
tamente di cosa si tratta: è un progetto che
porta i medici e gli operatori sanitari a met-
tersi in discussione. Alcuni, quando capisco-
no questo, tornano indietro.
A volte ci sono pure dei problemi pratici: in
alcuni ospedali l’esperimento si è concluso
perché gli infermieri non volevano fare gli
straordinari, o perché il primario non vole-
va che l’accesso al reparto ai familiari fosse
prolungato oltre l’orario, cosa che invece il
concerto presuppone.
È chiaro che Donatori di Musica va un po’ a
invadere degli spazi, a creare “scompiglio”.
Per questo è fondamentale che ci sia un’u-
nità di intenti. Quando i concerti di Dona-
tori di Musica entrano in un ospedale, suc-
cede qualcosa... Dovreste vedere il reparto
di Maurizio Cantore a Carrara. Non è più
un reparto, è un centro culturale! Ci sono
mostre fotografiche, corsi di pittura, di re-
citazione, letture di poesie. È un reparto
aperto a tutti, anche visivamente è un luogo
ospitale, è tutto colorato, non c’è una parete
bianca, non c’è puzza di medicinali, non c’è
l’odore dell’ospedale. C’è anche un giardino,
perché una volta c’è stato un giardiniere a
curarsi e Maurizio Cantore, come al solito,
gli ha chiesto: “Cosa fai?”, e alla risposta ca-
nonica: “Facevo il giardiniere...”, non se l’è
fatto ripetere: “No, lo fai ancora!”, “E dove?”.
“Qui!”. È un reparto impresso dalla presen-
za delle persone che ci sono passate perché
ognuno ha lasciato qualcosa.
Gli altri musicisti che coinvolgete come
reagiscono?
Quasi tutti dopo la prima volta ringraziano.
Ovviamente quando metti piede in un ospe-
dale vedi barelle, persone tristi e pensi che
può accadere anche a te, quindi l’impatto è
sempre un po’ difficile. Quando però arri-
vi in reparto, nel luogo del concerto... beh,
già vedere un pianoforte in un day hospital
è qualcosa che apre il cuore. Noi poi siamo
sempre accolti molto bene.
Sarebbe bello che tutti fossero accolti come
veniamo accolti noi. Per me è sempre una
festa. Cosa che spesso non succede quando
vai a suonare in qualche teatro, dove ma-
gari se chiedi di entrare mezz’ora prima per
studiare storcono il naso... Dipende sempre
dallo spirito con cui fai le cose. Ai concer-
ti dei Donatori di Musica, ci sono anche gli
“imbucati”.
A Carrara succede spesso che musicisti che
abitano in zona, che magari hanno già suo-
nato, abbiano piacere a tornare. Io sono tra
questi. Ma quel che è più importante è che
tornano anche gli ex malati o i familiari del
paziente che non c’è più; alcuni tornano per
tenere in vita il ricordo, altri forse per esse-
re parte attiva di una cosa bella. Spesso a
Carrara le torte che vengono servite dopo il
concerto le fanno le signore che magari han-
no avuto l’intervento al seno qualche anno
prima. C’è anche l’ex paziente che viene per
dire agli altri malati: “Guardate, io sto bene,
potete tornare a star bene anche voi”.
I musicisti comunque rimangono contenti e
colpiti e subito dicono: “Io sono disponibile
a farne altri”. Sono situazioni in cui tutti
ringraziano tutti. È curioso, fa anche sorri-
dere. All’inizio, quando non c’era un gruppo
consolidato, alcuni li invitavo io, ma ho visto
che l’invito forzato non funziona. I musici-
sti che davvero si affezionano all’esperienza
sono quelli che si sono fatti avanti sponta-
neamente.
Adesso c’è una lista d’attesa di oltre quattro-
cento richieste! E siamo già in oltre cento ad
aver tenuto almeno un concerto. Calcolando
che ci sono sette stagioni attive, siamo già
quasi troppi. Sarebbe bello che aumentas-
sero le stagioni, quindi gli ospedali, così da
coinvolgere anche altri musicisti. Stiamo
tentando di sondare anche al Sud. Abbia-
mo organizzato un concerto all’ospedale
Garibaldi di Catania per far conoscere alla
cittadinanza questa esperienza. È venuto
proprio Martin Berkofsky. Negli ospedali
grandi ci sono maggiori problemi di gestio-
ne. Non a caso le stagioni attive adesso sono
in ospedali piccoli, di provincia, dove forse è
più facile superare certi intoppi burocratici,
c’è più autonomia e spesso c’è anche l’eccel-
lenza.
È chiaro che in un ospedale dove bisogna
aspettare un anno per fare un esame e i
medici sono pochi, sottopagati, con contratti
precari, è difficile che un progetto del genere
possa attecchire. Ma nulla è impossibile. A
Brescia, a curare la stagione, è Mauro Ta-
gliani, uno psico-oncologo con un contratto
a termine, che a volte paga di tasca propria
per proseguire Donatori di Musica!
(a cura di Barbara Bertoncin e Edi Rabini)
nei grandi ospedali ci sono maggiori
problemi di gestione. Le stagioni attive
adesso sono in ospedali piccoli