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lare come di un computer, del numero dei
Linfociti-T o della debolezza del loro siste-
ma immunitario: punto finale di concet-
ti che possono a malapena ancora essere
considerati delle metafore o come passaggi
sensoriali tra ambiti separati. Dicono certo
ancora qualcosa di “corporeo”, ma non si ri-
feriscono più a quasi niente di fisico o anche
di percepibile.
Riflettere su se stessi alla luce di questi con-
cetti comporta una grave perdita del senso
di realtà, un profondo disorientamento e
una perdita del proprio sentire.
A un’intervistatrice che gli chiedeva nel
1990 cosa fare contro il buco dell’ozono cau-
sato dall’industria, Ivan Illich spiegò ciò che
gli stava veramente a cuore: “Io rinuncio
alla salute. È terribile... Riconosco la mia
impotenza, la sento profondamente. Questo
compito non può essere svolto da soli, è ne-
cessario partire dall’amicizia, dalla vecchia
‘philia’. È possibile rinunciare. Una rinun-
cia da esercitare consapevolmente, critica-
mente, con disciplina, per la quale una volta
c’era un nome: ‘ascesi’”.
“È un ‘No, grazie!’ alle ovvietà sulle quali è
costruita la nostra società. Per esempio, la
‘propria responsabilità’ in un mondo dove
non si può nemmeno consegnare decente-
mente una scheda elettorale, in un mondo
in cui sempre più ciò che precedentemente
si chiamava ‘libertà democratica’ diventa
auto-integrazione simbolica, in un mondo
in cui apparentemente vi viene offerta una
scelta, ma in realtà sottoscrivete solamen-
mano la responsabilità sulla propria salute,
si adattava perfettamente alla programma-
tica politica degli anni Settanta. “Allora,
non mi ero reso conto che quella morbosa
bramosia di salute nell’era del System-Ma-
nagement si sarebbe trasformata in un’epi-
demia talmente complessa”. Da tempo or-
mai la salute non aveva più nulla a che fare
con un benessere personale e una capacità
di arrangiarsi concreti, ma era diventata
una risorsa sempre più scarsa influenzata
dalle esigenze economiche e dalle condizioni
ambientali.
Con la frase: “Salute sotto la propria respon-
sabilità, no grazie!”, Illich rifiutava l’imposi-
zione di adattarsi agli irresponsabili inviti
della società industriale a investire nella
propria salute, di migliorarla sotto la guida
di esperti, consulenti e professionisti. “L’au-
to-limitazione -scriveva- è in contrasto con
la moda dell’auto-aiuto, dell’auto-gestione o
addirittura dell’auto-responsabilità; tutte e
tre rendono l’auto-integrazione nel sistema
mondiale un imperativo categorico”. In que-
sto secondo periodo della sua critica, a Illich
non interessavano tanto le conseguenze ia-
trogene della società industriale, bensì la di-
struzione del senso della realtà e la perdita
di significato dell’esperienza corporea senso-
riale e personale. “Questa salute -sosteneva-
non è più una cosa che viene vissuta come
benessere. Viene intesa come adattamento
ottimale nella cornice ecologica ed econo-
mica di singoli sottosistemi individuali. Il
consenso a questo bisogno di adattamento si
riduce all’estinzione della soggettività”.
Negli anni Ottanta fu possibile constata-
re la diffusione di nuovi linguaggi derivati
dal computer e dal pensiero cibernetico. Le
persone parlavano del sistema cardiovasco-
Il cancro. E poi...
(di Carlotta Nobile*)
29 agosto 2012
E poi mi sono accorta che quasi mi fa bene
dire “ho il cancro”, quasi mi aiuta ad accet-
tarlo, chiamando ogni cosa con il proprio
nome di battesimo, traducendo in parole una
condizione di malattia a cui ancora -dopo un
anno- una parte di me non vuole e non può
abituarsi. Pronunciando queste sei lettere è
come se l’incubo prendesse forma concreta,
come se quella patina che ormai vedo fra
me e il mondo diventasse finalmente visibile
anche agli altri. E la cosa, stranamente, mi
aiuta.
Ho capito fin dall’inizio che avrei dovuto
convivere con la mia malattia per un tempo
abbastanza lungo e che avevo davanti a me
due sole possibili strade: fare finta che non
ci fosse e lasciarla al di fuori della mia vita,
oppure farla entrare dentro, lasciarla aderire
ai bordi di me stessa per renderla mia alle-
ata, per tramutarla in bagaglio di viaggio,
in esperienza vissuta consapevolmente e
profondamente.
Ho sempre vissuto ogni cosa fin oltre i suoi
limiti e con il cancro non potevo che fare
lo stesso. In fondo è terribile restare chiusi
dentro se stessi, ma restarne chiusi fuori lo è
ancor di più.
Non chiedo che il cancro sparisca dal mio
corpo, non posso pretenderlo. Chiedo che di-
venga un nemico da addomesticare, un’om-
bra cronicizzata con cui poter convivere e
continuare a vivere. Eppure a volte vorrei
stare in silenzio senza sentirmi in dovere
di ricominciare a vivere una normalità che
ormai mi sembra solo la fiera del superficia-
le e dell’effimero. Vorrei stare zitta e muta
per qualche giorno, senza dover spiegare
questa stanchezza perenne che rende infinite
le mie giornate, questo distacco dal mondo
che sento crescere dentro di me ogni giorno
di più. Vorrei non dover spiegare che forse
all’esterno tutto può ricominciare, che fuori
posso anche essere la stessa di un anno fa,
con i capelli biondi, che la mia terapia non
mi porterà via, e le guance rosa. Ma dentro
ogni cosa è cambiata. Dentro ho tante me-
tastasi che camminano, ormai lontane dal
punto in cui tutto è cominciato. Dentro ho
un’altra percezione di quello che sono sempre
stata. E in giornate come questa mi sento un
po’ più lontana dal mondo reale e molto più
vicina a tutti voi.
Il cancro? Un dono
21 marzo 2013
La cosa più importante di tutte non è quante
metastasi abbiamo in corpo. La cosa più
importante è sentirsi sane, nonostante tutti i
referti dicano il contrario. Così con il cancro
si convive, si cresce, si lotta. Così la vita
diventa ancora più degna di essere vissuta.
Con l’amore intorno e la disciplina dentro.
E la certezza che la Vittoria è lì, da qualche
parte, che mi aspetta. E la certezza che avere
il cancro e poterlo combattere è in assoluto
la cosa di cui sono più orgogliosa nella mia
vita.
Le medicine curano. Poi c’è l’anima, c’è il
coraggio. C’è l’amore intorno e la disciplina
dentro. E queste sono cose che guariscono.
Un giorno tu arriverai, mio “E Poi”, piccola
e bellissima. Di questo sono certa. E se tutto
l’inferno che sto attraversando mi conduce a
te, sono disposta a viverlo altre mille volte.
* Violinista e scrittrice, aveva aperto, dall’otto-
bre 2011, una pagina (http://ilcancroepoi.com/
blog/) alla quale affidava periodicamente i suoi
pensieri. Se ne è andata il 16 luglio 2013, a soli
24 anni. A lei verrà dedicata la Sala d’attesa del
reparto di Oncologia dell’ospedale di Bolzano.
Sandra Mangini, attrice, cantante e regista veneziana
solo chi padroneggia l’arte
di morire e di soffrire può coltivare
un’arte del vivere