Giuseppe Costa è epidemiologo del Dipartimento Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università di Torino, Servizio di Epidemiologia, Asl TO3 Piemonte. Il libro di cui si parla nell’intervista è 40 anni di salute a Torino, a cura di G. Costa, M. Stroscia, N. Zengarini e M. Demaria.

Avete da poco presentato uno studio che ripercorre l’andamento della salute nella città di Torino negli ultimi 40 anni. Cosa ne viene fuori?
Lo studio racconta una storia di successo, perché la speranza di vita media dei torinesi è molto migliorata negli ultimi 40 anni, e tuttavia persistono ancora disuguaglianze sociali di salute.
Le disuguaglianze di salute dentro la città sono tali che se prendessimo il tram della linea 3 che collega i quartieri ricchi della collina a quelli poveri della periferia Nord della città, osserveremmo negli uomini una perdita di circa cinque mesi nella speranza di vita per ogni chilometro percorso. Si osserva, cioè, un divario fra i quartieri socio-economicamente svantaggiati (le periferie a Nord di corso Regina Margherita e Mirafiori Sud) e quelli più ricchi (Collina, Centro alto-borghese e quartieri centro-occidentali) che può essere sintetizzato dalla differenza di circa quattro anni nella speranza di vita per gli uomini tra chi vive in collina e chi vive alle Vallette. Badate che quattro anni non sono tanti perché se andate a Londra sono più di dieci tra l’East End e il West End, se andate a Glasgow sono più di sedici.
È comunque interessante rilevare che se la geografia è rimasta uguale, cioè nei posti ricchi si vive di più e nei posti poveri si vive in meno, osservando la velocità con cui è migliorata la speranza di vita, si scopre che è migliorata più in fretta nei posti più svantaggiati. Per questo dico che il libro racconta una storia di successo: i torinesi in quarant’anni hanno visto migliorare senza interruzioni la loro speranza di vita di sette anni tra gli uomini e di sei anni tra le donne.
Nello stesso periodo, va detto che la speranza di vita tra gli uomini è migliorata di più tra i laureati che tra le persone con la sola scuola dell’obbligo; mentre tra le donne sono quelle con più basso titolo di studio ad aver guadagnato più anni di vita.
Il fenomeno può essere spiegato con il fatto che le donne in carriera hanno peggiorato il loro stile di vita, in particolare rispetto a fumo ed età al primo figlio, cioè ritardo nella carriera riproduttiva. Il peggioramento del profilo delle laureate è dovuto al fatto che hanno vanificato il vantaggio dell’istruzione con lo stile di vita. È comunque un dato temporaneo, perché questi stili di vita si stanno propagando: è un’epidemia che interessa le donne di tutte le posizioni sociali.
Il fatto è che le malattie che incidono sulla mortalità sono prevalentemente i tumori, che hanno una lunga latenza.
Quello che vediamo è il risultato di cambiamenti avvenuti negli anni Ottanta; ormai l’aumento dell’età delle donne al primo figlio è un fenomeno che interessa tutte le donne, non solo quelle in carriera, quindi l’effetto lo vedremo appieno nel 2020. La cosa che vogliamo sottolineare e che consegniamo alle riflessioni e alle politiche è che stiamo comunque parlando di una storia che sta andando nella direzione giusta e che però approda ancora a delle differenze, che sono quelle del tram che ho detto. Il messaggio è molto pragmatico: stai attento, sei nella strada giusta, però c’è ancora un sacco da fare.
Possiamo dire che questa tendenza prosegue o si intravede un rimbalzo?
La domanda è legittima perché siamo in piena crisi. Allora se tu vai a vedere l’indicatore sintetico di disuguaglianza nella mortalità, vediamo che la pendenza tra gli estremi è peggiorata fino a prima della crisi e poi ha cominciato a migliorare. Gran parte del picco che c’è stato tra gli anni Ottanta e Novanta è legato all’epidemia da droga e Aids che ha colpito molto i gruppi svantaggiati e soprattutto i maschi ed è un fenomeno di periodo, nel senso che una volta finito lo scambio delle siringhe e arrivate le terapie ricombinate, l’impatto si è moderato.
Sono fenomeni molto simili a quelli che ha visto il premio Nobel Deaton denunciando come i maschi americani bianchi di media e bassa classe sociale per la prima volta hanno iniziato a peggiorare il loro rischio di morte (che era migliorato costantemente) e sono l’unico gruppo che peggiora. È la forgotten class che spiega il fenomeno Trump e non solo. Parliamo di giovani maschi e anche la spieg ...[continua]

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