Alain Brossat insegna Filosofia all’Université Paris VIII-St Denis.

Lei è stato favorevole all’intervento in Kossovo e nettamente contrario a quello in Iraq. Può spiegarcene i motivi?
C’è un punto che per me è essenziale: la politica di Milosevic, il regime di Milosevic, tutta l’escalation di potenza dell’azione di Milosevic, rimettevano in moto sul terreno europeo qualcosa che aveva a che fare con la storia del totalitarismo in Europa, quasi che, nella storia europea, si riannodasse un filo post-totalitario. Milosevic, cioè, risvegliava un passato di cui siamo responsabili: la storia dello sterminio e dei campi, la storia di Auschwitz, la storia della seconda guerra mondiale e di tutto quello che provocò l’idea della purezza del sangue, della razza, dell’epurazione e dello sterminio per ragioni razziali. Per me questa è stata la ragione dell’avversione contro Milosevic. Occorre ricordare che, quando il problema dell’intervento dell’alleanza contro Milosevic si è posto in Kossovo, Milosevic, con la purificazione etnica che veniva operata in Kossovo, stava coronando l’opera messa in atto per anni in tutta la regione, con l’assedio di Sarajevo, Srebrenica, i campi, le stragi, la distruzione di Vukovar, ecc.
Penso che nel caso dell’Iraq non siamo affatto in una configurazione analoga, ma in una molto più remota, che è quella di una tirannia. Siamo di fronte a un tiranno tradizionale, non moderno, che usa tutti i modi classici attraverso i quali la violenza di una tirannia si impone: terrorizza persone che considera come nemici in quanto curdi o sciiti, ma terrorizza, quasi allo stesso modo, anche la propria popolazione, al punto che le distinzioni etniche o religiose fra sunniti, arabi, curdi, sciiti tendono a scomparire. E’ un esercizio del potere solitario.
La fine stessa di Saddam, cioè il tradimento di uno dei generali a lui più vicini, è esattamente quello che succede sempre ai tiranni. Le loro paranoie non riescono mai a proteggerli da una dinamica implacabile che prevede il tradimento del loro migliore amico o del figlio, del cugino. Qui, a tradire, pare sia stato il capo della guardia repubblicana. E non è una questione di numero. Sono d’accordo nel dire che Saddam si è reso responsabile di un numero di delitti altrettanto importante, il problema sono le procedure neototalitarie. Srebrenica è tipicamente una procedura neototalitaria: la scelta, il camuffamento, il modo di cancellare le tracce. Saddam non aveva bisogno di cancellare le tracce, il tiranno ha il senso dell’impunità, e rivendica la violenza estrema che utilizza perché gli serve a terrorizzare tutti...
A mio parere, allora, con l’Iraq siamo in un’altra storia, di cui noi europei non siamo responsabili. Invece eravamo responsabili di fronte a una storia europea come Sarajevo. Sarajevo siamo noi. Durante i mille giorni in cui Sarajevo è stata bombardata stava succedendo qualcosa che ci riguardava direttamente.
Per me è spiacevole ammettere che, da noi in Francia, coloro che hanno detto questo con più eloquenza siano stati i membri della piccola banda dei nouveaux philosophes. Solo loro hanno “sentito” questo, mentre coloro che negli ambienti intellettuali francesi hanno spesso posizioni politiche più articolate, meno demagogiche, “non hanno sentito”, hanno assolutamente ignorato la cosa.
Tutte le correnti marxiste radicali hanno completamente trascurato la storia di Sarajevo e Srebrenica perché avevano l’impressione che fossero storie di nazionalismo, non hanno avvertito come questa storia ci riguardasse nella nostra identità europea, che qualcosa si stava risvegliando sul suolo europeo. Già avevamo lasciato correre una volta e non bisognava lasciare correre una seconda volta.
Cionondimeno la presunta, vantata, moralità dell’intervento ha lasciato perplesso anche chi non era pregiudizialmente contrario...
In Kossovo solo gli alleati avevano la forza per rovesciare Milosevic, e solo per questo ho applaudito caldamente alla decisione di intervenire. La sola cosa che mi interessava era che Milosevic sparisse. Mi dispiaceva che fosse quella coalizione perché era una coalizione che aveva dei secondi fini, anche imperialisti. Ma non siamo più ai tempi delle brigate internazionali in Spagna. Chi poteva rovesciare Milosevic? Quella coalizione e nessun altro. L’Onu era fuori gioco perché russi e cinesi avrebbero posto il veto a livello del Consiglio di Sicurezza. E’ su un piano strettamente pragmatico che ho sostenuto quell’i ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!