Selim Beslagic è sindaco di Tuzla dal 1990. L’incontro si è tenuto presso l’Auditorium del Palazzo Comunale di Arezzo.

Vorrei iniziare il mio intervento con la prima parte di una preghiera che in qualche modo rappresenta il mio credo di vita.
"Signore mio, insegnami che la tolleranza è il livello più alto del potere e che il desiderio di vendetta è il primo segnale di debolezza. Signore mio, se commetto degli errori nei confronti delle altre persone, dammi la forza di chiedere scusa; se altri si comportano scorrettamente nei miei confronti, dammi la forza per perdonare".
Questo credo mi ha aiutato a portare avanti una determinata politica in questi anni. Sono stato eletto sindaco nel 1990, ed ero sicuro di doverlo fare solo per due anni. Poi è arrivata l’aggressione alla Bosnia Erzegovina, la guerra, e quindi tuttora mi trovo a ricoprire quest’incarico.
Mi piacerebbe non dover mai più pronunciare la parola "guerra", ma purtroppo dobbiamo farlo. La guerra in Bosnia Erzegovina è stata una vera catastrofe che ha portato con sé 300.000 morti e un milione e mezzo tra profughi e sfollati, di cui un milione all’interno della Bosnia.
Credo sia opportuno non stancarsi di parlarne, e continuare a ricordare, anche se ormai sono passati cinque anni.
Prima della guerra, Tuzla contava 132.000 abitanti; durante la guerra è diventata una città di 200.000 abitanti. Ora siamo attorno ai 160.000, cifra comunque superiore a quelle che erano le nostre previsioni di crescita demografica per il 2015.
Devo dire che la guerra ci ha costretto a far fronte principalmente a tre emergenze: prima, la sopravvivenza; seconda, come evitare lo scontro tra la popolazione locale e tutti i profughi che si sono riversati nelle città; terza, come tenere uniti i cittadini appartenenti ai vari gruppi, per poterci difendere dal male che ci minacciava.
Dall’inizio degli anni novanta i leader nazionalisti hanno infatti cercato di convincere la popolazione della ex Jugoslavia che era impossibile che cittadini appartenenti a gruppi diversi potessero vivere assieme.
A Tuzla, fortunatamente, la gente comune si è dissociata, di fatto, da questa politica. Così siamo riusciti ad andare avanti evitando gli scontri tra i cittadini appartenenti alle diverse etnie. A Tuzla abbiamo sempre considerato le persone in base alle loro qualità, a come lavorano, alle loro capacità, e non per la loro appartenenza etnica. Purtroppo tra le città della Bosnia, rappresentiamo un caso più unico che raro, nell’esserci sottratti a questo tragico scontro interno.
Oggi però Tuzla non può essere considerata separatamente; certo, ha una situazione particolare, tuttavia dev’essere guardata nel contesto generale, che è quello della Bosnia, ma anche dei Balcani in generale, Croazia e Serbia comprese.
In Croazia, ad esempio, al potere era stato a lungo l’Hdz, il partito nazionalista di Tudjiman, che negava esplicitamente la possibilità di vivere assieme e che chiedeva la spartizione della Bosnia. Dall’altra parte, in Serbia, c’è ancora Milosevic, che in questi anni ha lavorato per la realizzazione del progetto della Grande Serbia, auspicando anch’egli una spartizione della Bosnia Erzegovina.
Questi due stati operavano in Bosnia anche attraverso dei partiti nazionalisti locali, l’Hdz croato tramite l’Hdz bosniaco; Politika serba attraverso l’Sds, il partito democratico serbo, il partito di Karadzic. E anche i musulmano-bosniaci avevano un loro partito nazionalista, l’Sda, partito dell’azione democratica.
E’ evidente che, pur avendo promosso tre politiche separate, e senza ora mettere sullo stesso piano le loro responsabilità storiche, sono stati questi tre nazionalismi il vero problema.
Tuzla, pur negando questo principio comune ai tre nazionalismi, cioè l’impossibilità che la gente possa vivere assieme, si colloca in questo contesto. Noi infatti, dal 1992 al 1999, siamo stati costantemente sottoposti alla pressione dei vari nazionalismi che, di volta in volta, ci hanno accusato di essere cetnici, quindi venduti ai nazionalisti serbi, oppure ustascia, ossia venduti ai nazionalisti croati.

Alla fine della guerra in Bosnia, nel ’95, sono stati siglati gli accordi di pace di Dayton. Questi accordi non riconoscono né vincitori né vinti: semplicemente congelano una specie di status quo, in cui la Bosnia è ora uno stato costituito da tre popoli e da due entità territoriali, di cui una è la federazione croato-musulmana, l’altra la Repubblica serba di Bosnia. Con q ...[continua]

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