È terribile da dirsi, ma le mie memorie dell’orfanotrofio non sono affatto terribili. Prima di tutto, ci inculcavano il senso di appartenenza alla nazione russa. Specialmente durante la guerra, l’educazione ufficiale dei bambini sovietici era dominata, malgrado il carattere multinazionale dell’impero, dal nazionalismo grande-russo. L’Unione Sovietica, la Madre Russia e la Patria che andava difesa eroicamente contro la mortale minaccia -tutto si fondeva insieme. Noi stessi -futuri soldati, future infermiere, futuri costruttori- eravamo il futuro, l’orgoglio e la speranza della Grande Russia. È curioso come questa educazione fosse promossa dall’Internazionale Comunista.
Non credo che le nostre maestre (i più piccoli, tra i quali c’ero io, erano affidati alla cura di sole donne) avessero l’intenzione di de-nazionalizzare questi bambini stranieri giunti nell’Urss da diverse parti dell’Europa e del mondo. Del resto, non c’era affatto bisogno di trasformarci in piccoli russi. La maggior parte di noi proveniva da famiglie miste: padre comunista straniero, madre russa. Era il caso della mia prima fidanzata, Lucetta Negarville, e anche il mio. Avevamo entrambi cinque anni quando le nostre mamme arrivarono contemporaneamente a farci visita a "Terme del Bosco”. All’epoca, una tale visita comportava un viaggio di almeno una settimana su treni rudimentali, così ai genitori spossati e alle loro creature venivano assegnati dei posti in un bungalow di due stanze, dotato di un cucinotto. È stato durante i giochi nel cucinotto comune che è sbocciato il nostro amore. Le nostre mamme parlavano in russo, e, ovviamente, anche noi. All’epoca non immaginavo che al mondo esistessero altre lingue oltre il russo. Lucetta era per me Lusha, e io per lei Kiriusha, il diminutivo di Kiril cioè Cirillo -questo era stato il mio nome dalla nascita fino al 1947. L’epifania, la ebbi nel 1994. Dopo una conferenza tenuta a Roma, mi si avvicinò un’avvenente signora italiana. Mi disse che si chiamava Lucetta Negarville e che ci conoscevamo da tempo. Visto il mio smarrimento, passò a un impeccabile russo: "Kiriusha, ty menja nie uznajosh? Ja – Lusha!”. Mi si piegarono le gambe. La mia prima fidanzata era la figlia di uno dei capi storici del Partito comunista Italiano!
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Negli anni 1948-1949 Mosca decise di imporre agli stati satellite dell’Europa centro-orientale un ordine, per così dire, a sua immagine e somiglianza. In Polonia si aprì l’epoca dello stalinismo classico. Oggi questo periodo è tratteggiato nei testi scolastici o nella pubblicistica politica, e spesso anche nella storiografia più ambiziosa, in toni cupi e allo stesso tempo patetici. Questo non favorisce la comprensione della realtà sociale dell’epoca. È indiscutibile che sulla vita pubblica e privata dei polacchi gravasse allora il peso di un terrore onnipresente. In realtà il terrore imperversava già prima, in particolare negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale (nei territori polacchi liberati dall’Armata Rossa) e nei primi anni del periodo postbellico, quando le autorità comuniste combatterono una sanguinosa lotta armata clandestina. Il numero delle condanne a morte per questioni politiche che si stabilivano ed eseguivano in quegli anni era superiore a quello della prima metà degli anni Cinquanta. I risultati del referendum del 1946 o delle elezioni parlamentari del 1947 furono falsati. Si trattò in ogni caso di elezioni vere in cui i cittadini votarono non a comando, ma secondo coscienza; esisteva un’opposizione legale, giornali non comunisti e nelle conversazioni private le persone non temevano ancora di esprimere le proprie opinioni.
Tutto questo cambiò in un breve lasso di tempo. La polifonia cedette il posto al monologo corale. La paura imponeva non soltanto parole e gesti, ma addirittura pensieri e sentimenti. Lo spirito della società appariva come un fiume coperto di ghiaccio. Certo, sotto la crosta qualcosa accadeva e cambiava ma -mancando in superficie segni percepibili di vita- era estremamente difficile accorgersene. Soltanto quando il ghiaccio cominciò a incrinarsi con l’arrivo del disgelo, cui seguì il rivoluzionario anno 1956, emersero gli importanti cambiamenti che si erano verificati in quel periodo apparentemente morto.
Tali cambiamenti si verificarono anche nella mia vita e nella mia mente. La coscienza del bambino è plastica e maggiormente suscettibile alle mutazioni del senso di appartenenza nazionale rispetto a quella di un adulto; si ...[continua]

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