Il settore della logistica in questi ultimi anni è stato caratterizzato da una conflittualità sindacale "anomala”, sia per il protagonismo di sindacati non confederali, sia per la presenza quasi esclusiva di lavoratori extracomunitari. Abbiamo chiesto un parere a Sergio Bologna, tra i massimi esperti di logistica.

La logistica sembra diventata di moda presso gli ambienti che si occupano genericamente di territorio, ma anche presso circoli culturali e artistici, quasi fosse una nuova dimensione della realtà capitalistica, che è alla ricerca di parametri intellettuali di tipo nuovo per essere compresa. Fioriscono infatti pubblicazioni che "filosofeggiano” sulla logistica. Io preferisco riportarla invece alla dimensione semplice di confronto tra capitale e lavoro, ossia di sistema socio-tecnico inteso ad accelerare il processo di valorizzazione, incrementando la velocità di circolazione del capitale ma, com’è ovvio, sottoponendo la forza lavoro a un’intensificazione dello sfruttamento sempre più pesante. Non c’è da stupirsi quindi se sta diventando un terreno di conflitti, uno dei pochi dove la forza lavoro non è solo sulla difensiva. La regione Emilia Romagna, diventata di recente sede d’imponenti insediamenti logistici di nuova generazione, è uno degli epicentri di questo scontro, reso più aspro dalla sistematica presenza di organizzazioni che reclutano forza lavoro extracomunitaria violando le regole di un normale rapporto di lavoro. Sono organizzazioni che prediligono la forma cooperativa, ma che in sostanza sono strutture di caporalato estremamente mobili e flessibili, spesso, ma non necessariamente, controllate dalla criminalità organizzata. Questo ha messo in grave imbarazzo sia il sindacato che il mondo cooperativo, i quali in parte hanno sottovalutato il fenomeno, in parte ne sono rimasti invischiati con un danno enorme per la loro reputazione, proprio nella regione che è stata la culla del movimento operaio.
La presenza e l’azione dei sindacati di base ha entro certi limiti esercitato una supplenza sia rispetto alle organizzazioni storiche della classe operaia, sia rispetto allo Stato stesso, che si è mosso con molto ritardo per arginare un fenomeno che ha creato, oltre a un clima diffuso di illegalità, un pesante danno erariale. Oggi tuttavia la situazione è in piena evoluzione, anche le imprese committenti e quelle utilizzatrici della mano d’opera di cooperativa, insieme alle istituzioni, agli enti locali e ai gestori di grandi infrastrutture pubbliche come gli Interporti si sono resi conto della necessità di operare una profonda opera di "bonifica” al loro interno.
Il nuovo governo, invece di facilitare e assecondare questa presa di coscienza, ne ha approfittato per introdurre nel primo Decreto Sicurezza una serie di misure repressive che, come accade in questi casi, hanno autorizzato alcuni magistrati a comminare delle pene a dei militanti sindacali che nemmeno i tribunali fascisti avrebbero osato infliggere nel contesto in cui si sono svolti i fatti.
C’è poco da "filosofeggiare”, nella logistica si sta giocando oggi una delle partite della nostra traballante democrazia.

Per maggiori dettagli rinvio all’articolo che ho scritto con Sergio Curi per il "Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali”, n. 1/2019: Relazioni industriali e servizi di logistica: un’analisi preliminare.