Vi racconto il mio impegno di disegnatore di icone. Sono da tempo affascinato dalle icone, che silenziosamente mostrano, per mezzo della rappresentazione, ciò che le sacre scritture ci comunicano attraverso la parola e l’udito. Così nel 2006, nel carcere di Bologna, ho iniziato un lungo percorso di studio e di fede, frequentando un laboratorio di icone. Percorso che ho potuto intraprendere e continuare fino ad oggi grazie alla collaborazione di alcuni componenti fondamentali, l’istituzione scolastica e quella universitaria, la direzione e l’area trattamentale degli istituti in cui sono stato recluso e soprattutto grazie all’ausilio del volontariato nella persona del maestro iconografo. Antonio Calandriello, che ha messo le sue competenze a servizio di noi detenuti e che ancora oggi, nonostante la lunga distanza chilometrica che separa Bologna (città in cui vive) da Fossombrone, quasi con cadenza mensile, lascia i suoi impegni familiari e personali per recarsi a farmi visita nel carcere di Fossombrone in cui ora sono ristretto, per darmi nozioni artistiche, seguirmi e fornirmi del materiale necessario per realizzare i miei lavori.
All’inizio di questa esperienza, ciò che mi spronava a frequentare il corso iconografico, oltre il fatto che si usciva dalla cella, era il bisogno di mostrare che nonostante le difficoltà che ci sono nel carcere, luogo di restrizione e di grande sofferenza, si riesce a produrre qualcosa di positivo. Mi ero prefisso due obiettivi, quello di apprendere la procedura per dipingere le icone e quello di fare un approfondimento dal punto di vista culturale, cioè imparare il significato dell’immagine sacra, come si legge un’immagine sacra e il valore spirituale. Per usare un termine altisonante, conoscere il vero senso teologico dell’immagine.
In carcere molto spesso il detenuto tende a svalutarsi, a pensare di sé che non ha niente di buono. L’attività che svolgo invece riesce a far emergere l’abilità nel fare qualcosa e aiuta a rivalutare se stesso, è un’opportunità quotidiana per poter realizzare esperienze formative che possono avere l’obbiettivo di eliminare le barriere, i pregiudizi e l’emarginazione sociale che sovrasta l’anima di chi è detenuto.
Secondo la tradizione orientale il raffigurare nell’icona un personaggio della rivelazione divina è un po’ come entrare in comunicazione con la divinità con una preghiera silenziosa e in qualche modo sperimentare la bellezza di Dio attraverso i tratti dipinti, anzi, scritti dall’iconografo sulla tavola. Ogni linea, ogni colore, ha un suo preciso significato. Un esempio per tutti, le tre stelle sul manto della Vergine significano la verginità perpetua, ovvero: prima, durante e dopo il parto.
Realizzando un’icona si recuperano due aspetti di cui la vita carceraria ci priva: la libertà e la bellezza. È quindi un modo per recuperare proprio quella dimensione del bello che insieme al buono e al vero sono i tre segni fondamentali della presenza del divino nella nostra vita. La libertà del carcerato ovviamente è vincolata in modo drastico, invece questa attività dona a chi la esercita quella libertà interiore che deriva per me dall’accostarsi agli elementi della fede. Quella fede che, anche se il corpo è imprigionato, in realtà permette poi alla parte più sensibile di noi stessi di acquisire la libertà interiore che vuol dire anche capacità di scegliere e di dare un senso nuovo alla propria vita, nella ripetitività stordente delle giornate carcerarie in cui si cerca di scappare e di ridipingere nuovi orizzonti anche di tipo esistenziali.
Fossombrone
Lettera dal carcere di Giovanni Lentini
lettere da...

Una Città n° 240 / 2017 giugno
Articolo di Giovanni Lentini
Disegnatore di icone
Lettera dal carcere di Giovanni Lentini
Archivio
Fermo, alla stazione
Una Città n° 246 / 2018 febbraio
Nel laboratorio teatrale da poco iniziato, mi è stato chiesto di immaginare e descrivere il viaggio che vorrei fare. Premesso che viaggiare è impresa difficile per chiunque per le incognite che sempre nasconde, cosa può accadere, chi si può incontrare... ...
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Giorni cupi
Una Città n° 269 / 2020 ottobre
Realizzata da Stefano Ignone
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benvenuti, giorni cupi.
È strano pensarlo, ma persino nella Sarajevo assediata, durante la guerra in Bosnia (1992-1995) c’era ancora spazio per il teatro, la musica, l’arte. Proprio a Sarajevo, nel 1993, Susan Sontag mise ...
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Il museo di storia di Hong Kong
Una Città n° 269 / 2020 ottobre
Cari amici,
a metà ottobre il governo di Hong Kong ha annunciato l’imminente chiusura del Museo di Storia, per un “esteso aggiornamento” delle sale che coprono la storia contemporanea di Hong Kong -dalla Guerra dell’Oppio c...
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#BoycottFrance
Una Città n° 270 / 2020 novembre
Cari amici,
mentre vi scrivo arriva la notizia di una prossima vaccinazione di massa contro il Covid in Marocco. Lo ha annunciato lo stesso sovrano Mohamed VI. Si tratterebbe di un vaccino testato nell’ambito dell’accordo di cooperazione sigl...
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Tre tamponi a famiglia
Una Città n° 268 / 2020 luglio-agosto-settembre
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l’estate del 2020 è stata tanto diversa in Marocco come e forse più che in altre nazioni. Ed è stato così a causa della pandemia in corso. Se la chiusura del Paese da marzo a giugno, prolungata oltre nel cors...
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