Gigi Riva, giornalista de L’Espresso, responsabile dell’area mediorientale, ha pubblicato, tra l’altro, I muri del pianto, Utet 2005.

Quando è scoppiata la guerra tu ti trovavi già in Israele…
Sì, ero andato per parlare della situazione di Gaza, avevo in programma una serie di incontri con Tzipi Livni, il Ministro degli Esteri, Simon Peres e altre figure politiche israeliane. Naturalmente ci siamo riconvertiti subito sul tema del Libano. Ho avuto quindi un punto di vista privilegiato perché ho sentito il polso di quello che pensava l’establishment israeliano mentre le cose stavano succedendo. Ecco, devo dire che ho avuto la netta sensazione che in qualche modo Israele fosse stato sorpreso da questa azione di Hezbollah. Sapeva che avrebbe dovuto reagire prima o poi, secondo un piano preordinato, ma non si immaginava che sarebbe potuto succedere proprio in quei giorni. Il giorno dopo lo scoppio della guerra, Tzipi Livni mi ha raccontato di come le fosse tornata alla mente una frase che Sharon aveva pronunciato in una riunione operativa con i vertici del governo: “Teniamo presente che abbiamo il problema del confine nord con gli Hezbollah: prima o poi dovremo risolverlo”. Quindi da una parte Israele sapeva di avere questo problema, e dall’altra è stato colto alla sprovvista. Questo tuttavia non deve suonare troppo strano perché se c’è una cosa che è entrata in crisi in questa guerra è il mito dell’invincibilità, della preparazione e della precisione di tutto l’apparato di difesa israeliano. Questo governo, che per la prima volta non ha figure militari ai propri vertici (e che per questo era stato molto criticato), ha reagito in modo spropositato proprio per un riflesso psicologico, per coprire quella che gli veniva imputata come una colpa, cioè la mancanza di una preparazione militare. Dan Halutz, il Capo di Stato Maggiore, ha giocato un notevole ruolo persuasivo nel modo di condurre la guerra: è riuscito a convincere i vertici del governo che l’aviazione avrebbe risolto la questione senza che dall’altra parte qualcuno lo potesse contrastare, proprio per la mancanza di preparazione di cui si diceva.
Ora, a conferma del fatto che era chiaro che la questione del confine nord sarebbe diventata sicuramente un problema per Israele, voglio citare un’indagine di Yigal Carmon, del Centro Studi sul Medio Oriente, che risale a un anno fa e che racconta dettagliatamente come gli Hezbollah avessero 13.000 mitra, missili, razzi, bunker… Tra l’altro, altra cosa paradossale, pare che molti dei bunker utilizzati dagli Hezbollah siano quelli che gli israeliani avevano scavato nei 18 anni di occupazione del Libano e che, contrariamente a quanto promesso da Barak, non erano stati distrutti prima del ritiro del 2000. Insomma tutto questo era noto e allora viene da chiedersi come mai per sei anni non sia stato fatto nulla, dato che era risaputo che gli Hezbollah si stavano riarmando. In primo luogo, io credo che occorra ricordare che dopo il ritiro di Barak del 2000, e la sua sconfitta alle elezioni del 2001, tutta la scena politica israeliana è stata dominata da Sharon. Uno Sharon che aveva un riflesso problematico nei confronti del Libano, perché era stato uno dei motivi della fine della sua carriera politica per un certo periodo. Ma in generale il Libano per gli israeliani è sempre rimasto una sorta di Vietnam del Medio Oriente perché, dopo l’occupazione dell’82, i soldati morti per mano dei guerriglieri di Hezbollah, e non solo, sono stati tanti. E poi c’era quel ritiro, così inglorioso, a pesare sulla memoria. L’altro elemento da considerare è che nell’ultima parte della sua carriera politica, Sharon si era concentrato altrove: più che al confine nord, era interessato alla soluzione del problema palestinese. In conclusione direi che gli orientamenti politici degli ultimi anni, sommati al ricordo di una guerra che evocava ancora molti fantasmi, e quindi un riflesso di paura e di resistenza a tornare in Libano, hanno spinto Israele a sottovalutare, di fatto, un pericolo, di cui pure tutti erano consapevoli.
Tu sei stato anche al fronte…
Sono andato sul confine nord pochi giorno dopo l’inizio della guerra; ho visto la Galilea assediata, sotto il tiro dei missili, ed era un paese allo stesso tempo bellissimo e spettrale: bellissimo perché il nord della Galilea è un luogo dove convive una vegetazione unica, una zona dove si produce vino, dove ci sono paesi molto curati, ma allo stesso tempo un luogo deserto, do ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!