Aaron Brancotti, software architect, scrive programmi dal 1979. Oggi lavora come consulente per la SrLabs. Vive a Milano.

Oggi lavoro in una piccola società, SrLabs, nata nel 2001, all’avanguardia nel campo dell’eye tracking, la tecnologia che permette di usare il computer grazie al semplice movimento degli occhi, sostituendo mouse e tastiera. Sono lì da un anno e sono il più vecchio (ho appena compiuto 42 anni), lo stesso fondatore è più giovane di me.
Come funziona l’eye tracking? Lo banalizzo moltissimo: è una tecnologia basata sull’utilizzo di un monitor con una telecamera che mediante delle tecniche di analisi dell’immagine vede dove stai puntando le pupille. Una macchina che riesce a capire dove stai guardando apre la strada a tutto un mondo nuovo di interfacce multimodali, che permettono di “disambiguare” un sacco di informazioni che invece normalmente sono appunto ambigue. Cioè, in pratica, se una macchina ha internamente un modello dell’ambiente circostante e riesce a capire che quando dici “accendi” stai guardando una certa lampada, capisce che lampada accendere. Ovviamente in questo caso oltre al fatto di capire dove guardi si parla anche di riconoscimento vocale, ecc. Si tratta quindi di interfacce avanzate, quelle viste in film tipo “Minority Report”: le macchine che capiscono i gesti. Ecco, tutto questo oggi non è molto lontano dalla realtà.
Quando mi hanno parlato del lavoro dell’SrLabs sul riconoscimento vocale e l’eye tracking io ho alzato un po’ le sopracciglia, perché le mie esperienze precedenti, risalenti a 7-8 anni prima, erano disastrose. Invece quando sono andato a vedere sono rimasto di sasso perché adesso quelle robe lì funzionano: il riconoscimento vocale, sotto determinate condizioni (microfoni buoni, ambienti non rumorosi, ecc) non troppo difficili da creare, oggi funziona veramente bene. Funziona bene quanto un umano. Cioè diciamo che una macchina fatta bene in un ambiente adeguato sbaglia a capirti quanto un umano. Chiaramente non sto parlando di semantica: non capisce un cavolo di quello che dici, riconosce i suoni. Idem per l’eye tracking.
Raccontandola così potrebbe sembrare che utilizzare l’eye tracking sia come usare il mouse, invece è una cosa completamente diversa perché intanto i nostri occhi sono sempre in movimento, e poi lo stesso “click” non è riproducibile: diventeresti scemo sempre lì a chiudere gli occhi. Come fai allora a selezionare una cosa? Ci sono vari meccanismi: se ti fermi un tot a guardare in un certo punto allora selezioni quell’oggetto. Ma di nuovo: un “tot” cosa significa? E “un certo punto” cosa vuol dire, dato che l’occhio è sempre in movimento? Questi movimenti, che si chiamano saccadi, e la fissazione, sono tutti concetti quantistici, nel senso che una fissazione è determinata da un raggio e da un tempo, quindi quella che sotto determinati parametri è una fissazione, sotto altri non lo è più. Perché quando uno scorre un testo fa delle fissazioni velocissime, invece quando legge fa un movimento di tipo diverso. Quindi si innesta un discorso anche cognitivo, su cui c’è una letteratura vastissima, che io mai avrei immaginato, praticamente è dal 1970 che si studia l’eye tracking… insomma qui c’è un mondo da scoprire.

Sono arrivato alla SrLabs dopo diverse esperienze lavorative, tutte nel campo del software. Ho sempre avuto questo amore per la scienza e la tecnologia, fin da ragazzino. Anche la scuola superiore l’ho scelta sperimentale per fare elettronica, anche se poi lì ho scoperto i computer. Il primo computer l’ho visto nel 1979 ed era una “lavatrice” dell’Ibm, serie uno, donato dall’associazione industriale a questa scuola sperimentale di Monticello Brianza, che si chiama Villa Greppio…
E’ iniziata lì questa passione per l’informatica. Erano gli anni dei primi computerini da casa, il Commodore 64, lo Spectrum, macchine che costavano un occhio della testa. Io ho subito fatto una testa così ai miei genitori che, non so se perché avessero intuito l’importanza della faccenda, comunque mi hanno accontentato comprandomi l’oggetto di turno. E così è cominciata la mia fase di delirio informatico da classico ragazzino dei computer, quello con gli occhiali che si vede in tv, che gli altri vanno a giocare a pallone e lui sta sempre in casa a scrivere programmi per giocare a Risiko, con macchine che non avevano memoria di massa per cui ogni volta che le spegnevi e riaccendevi dovevi ribattere dentro tutto. Nel giro di pochi anni pe ...[continua]

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