Jacques Stroumsa è nato il 4 gennaio del 1913 a Salonicco e appartiene alla comunità sefardita che alla fine del 1400 abbandonò la Spagna dopo l’espulsione degli ebrei da parte della regina Isabella la Cattolica, per trasferirsi in una delle città dell’impero ottomano. Nel 1943, in seguito all’occupazione tedesca della Grecia, la quasi totalità della comunità ebraica di Salonicco (45.000 persone su un totale di 50.000) venne deportata ed uccisa ad Auschwitz/Birkenau. Oggi, a Salonicco, vivono circa 2000 ebrei, eredi di quella comunità, che ancora negli anni ’20 e ’30 rappresentava quasi la metà della popolazione cosmopolita di Salonicco. Questa città, insieme a tante altre, è il simbolo della Shoah, ovvero della distruzione degli ebrei europei.
Attualmente Jacques Stroumsa vive a Gerusalemme e lavora come volontario presso la Fondazione Yad Vashem. Grazie alla prodigiosa conoscenza di diverse lingue, tiene, durante tutto l’anno, conferenze a studenti e docenti, in francese, spagnolo, italiano, inglese e tedesco.
L’8 maggio del ’43, Jacques Stroumsa arrivava ad Auschwitz, dopo un viaggio estenuante di circa dieci giorni. La sera del medesimo giorno seppe della morte della propria famiglia. Il kapò della baracca, dopo averlo ascoltato suonare il violino, gli disse: “Spero che lei non muoia qui”. Queste parole hanno accompagnato Jacques Stroumsa nei suoi due anni d’internamento ad Auschwitz e Mauthausen e sono alla base del suo libro Violinista ad Auschwitz (Morcelliana, 2000), che nell’edizione originale francese s’intitola Io sceglierò la vita.

Lei è originario di Salonicco, una città in cui viveva una delle più antiche e importanti comunità ebraiche europee, spazzata via dall’Olocausto...
Sino all’annessione alla Grecia, nel 1912, Salonicco era chiamata la Gerusalemme dei Balcani. Nonostante l’afflusso dei greci dall’Asia Minore, alla vigilia della deportazione gli ebrei costituivano più di un terzo della popolazione ed erano in quel momento la comunità più antica della città. La Shoah ha letteralmente cancellato questa presenza pluricentenaria. Oggi, su di una popolazione sefardita che contava circa 50.000 persone, ne sono rimaste 2000. E’ tutto documentato nel libro in cui, attraverso la mia testimonianza, ho cercato di dare un piccolo contributo alla ricostruzione della tragedia della comunità ebraica di Salonicco. Sino all’uscita del libro, anche tra gli storici più illustri, lo sterminio degli ebrei di Salonicco era passato del tutto inosservato. Solo negli ultimi dieci anni è stata avviata una ricerca seria sulla nostra deportazione. Ciò che mi rattrista è il fatto che a Salonicco, e in generale in Grecia, si eviti di parlare e di ricordare questo tragico evento. Come se noi non fossimo mai esistiti e non fossimo anche noi greci. E pensare che prima della guerra Salonicco era una città cosmopolita dove si parlavano numerose lingue: greco, turco, francese, ladino (spagnolo sefardita) e italiano. Il mio primo professore di italiano fu Livio Marchesini, originario di Padova. Io sono cresciuto in un ambiente cosmopolita e, sin da bambino, ho imparato tre lingue: il ladino-spagnolo, il francese e il greco. L’italiano l’ho imparato durante le lezioni di violino.
L’8 maggio del ’43 lei arrivava ad Auschwitz. Aveva 30 anni. Un destino terribile per gli uomini della sua generazione...
Nessuno conosce in anticipo il proprio destino. Io, che sono nato nel XX secolo, non potevo immaginare che nel mio secolo e nel mio paese natale, la Grecia immortale, il mio destino mi avrebbe portato a conoscere il più terribile dei campi di concentramento esistenti in Europa, situato nei pressi di Cracovia, l’antica e bella capitale polacca, e cioè Auschwitz, che Primo Levi definì il Buco nero dell’umanità.
Devo inoltre ammettere che in gioventù mi sono completamente disinteressato di politica. Io e i miei amici greci, durante i nostri studi universitari in Francia, eravamo privi di educazione e cultura politica. L’ascesa al potere di Mussolini negli anni ‘20, e quella di Hitler negli anni ’30, non avevano avuto alcuna ripercussione sulla nostra vita di studenti, che era totalmente assorbita dagli studi. Purtroppo, gli studi tecnici da un lato e quelli musicali dall’altro hanno impedito che in me maturasse un sentimento di responsabilità e impegno politico. Non mi sono accorto delle fosche nubi che si annunciavano all’orizzonte. Basti solo pensare che nel 1940, dopo l’attacco dell’Italia alla Grecia, mi son ...[continua]

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