Maria Rosa Vittadini è docente di Tecniche di analisi urbane e territoriali presso la Facoltà di Architettura di Venezia, Dipartimento di Pianificazione del territorio. Dal 1998 al 2002 è stata Direttore generale del Servizio Valutazione dell’impatto ambientale del Ministero dell’Ambiente. Fra gli altri incarichi ricoperti, è stata Presidente del Gruppo di lavoro “Ambiente e Territorio” nell’ambito della Commissione Intergovernativa italo-francese per la realizzazione della linea ferroviaria Torino-Lione (1996-2000).

Quando nasce l’idea dell’alta velocità in Italia?
Il primo episodio di linea ferroviaria ad alta velocità è stata la Roma-Firenze, nata da una legge anticongiunturale del 1968 con due principali obiettivi: sostenere l’economia del Paese attraverso una consistente spesa pubblica e mettere le ferrovie, dal punto di vista del finanziamento, sullo stesso piano delle autostrade, che avevano goduto fino a qual momento condizioni di assoluto favore. Bisogna ricordare infatti che il finanziamento delle ferrovie, allora FS azienda di Stato, richiedeva apposite leggi, nelle quali il costo di ciascuna opera era fissato per norma. Poiché la forte inflazione di quei tempi erodeva velocemente il valore del denaro, le somme stanziate non erano mai sufficienti a completare le opere, che per lo più procedevano con esasperante lentezza, attraverso successive leggi finanziamento. Tutt’altra vicenda per le autostrade. Queste erano finanziate mediante l’affidamento a un concessionario che avrebbe dovuto ripagarsi attraverso il pedaggio nell’arco trentennale di durata della concessione. Alle entrate da pedaggio si aggiungeva un contributo pubblico a fondo perduto dell’ordine del 30-35% dell’investimento; scaduti i trent’anni l’infrastruttura doveva tornare nell’ordinaria amministrazione dello Stato. Ma qualora la concessionaria non fosse stata in grado di far quadrare i bilanci, la garanzia dello Stato sui mutui provvedeva a salvare la concessionaria dal fallimento. Questo meccanismo garantiva quindi la realizzazione dell’autostrada nella sua completezza anche quando i costi si rivelavano assai superiori a quelli previsti nel piano finanziario oppure quando il traffico si rivelava assai inferiore. Questa prassi di assoluta irresponsabilità delle concessionarie autostradali era così diffusa e così preoccupante per l’equilibrio dei conti pubblici che negli anni Settanta si ebbero, in rapida successione, diverse norme di blocco della costruzione di nuove autostrade che sono rimaste in vigore fino a tutti gli anni Novanta. La modalità “straordinaria” di finanziamento della linea ferroviaria Firenze-Roma nella legge anticongiunturale del 1968 cercava di rincorrere il modello autostradale, cosa che tuttavia non renderà più veloce la realizzazione della nuova linea, durata circa vent’anni. Ancora è bene ricordare che gran parte delle difficoltà e dei costi della Firenze-Roma derivavano dalla scelta di dedicare la nuova linea a un traffico misto di treni passeggeri e merci. La presenza dei treni merci richiedeva pendenze limitate, con un massimo di otto per mille, e dunque, nell’ambiente orografico dell’Appennino centrale, una successione continua di viadotti e gallerie. Quella scelta, pure assai costosa, individuava nel trasporto delle merci una delle grandi priorità dell’ammodernamento ferroviario e metteva l’Italia all’avanguardia nella innovazione tecnologica delle ferrovie sulle lunghe distanze.
L’ impostazione “mista” delle nuove linee ferroviarie veniva del tutto stravolta negli anni Ottanta, al tempo della maturazione del complessivo progetto Alta Velocità. Di fronte alla continua perdita di quote di mercato delle ferrovie italiane non erano infrequenti teorizzazioni, non solo provocatorie, circa la razionalità di abbandonare la ferrovia tradizionale, considerata una tecnologia del passato. Secondo tali teorie l’unica componente che poteva essere salvata erano quei 5-6000 chilometri di ferrovia che raccordavano le grandi città e che erano, allora come oggi, la sola parte intensamente usata dei circa 16.000 chilometri di rete. Linee nuove, ad alte prestazioni (250-300 km/h), dedicate esclusivamente ai passeggeri, avrebbero trovato una domanda disposta a pagare, così da rendere remunerativo l’investimento. L’entrata in esercizio del TGV francese, specializzato per il solo traffico passeggeri, forniva negli stessi anni un riferimento di successo.
In questo clima iniziale nasce il progetto italiano dell’ ...[continua]

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