Nadia Maria Filippini, docente di Storia delle donne all’Università di Venezia, storica, ha pubblicato tra l’altro, La nascita “straordinaria”. Trasformazioni culturali e sociali nella pratica del taglio cesareo (XVIII-XIX secolo), Franco Angeli, 1995. Tra i suoi saggi: Il cittadino non nato e il corpo della madre, in Marina D’Amelia (a cura di), Storia della maternità, Bari, Laterza 1997; La personificazione del feto e l’eclissi della madre, nella rivista della Società delle Storiche Genesis, II, 1, 2003.

Partiamo da quello che si chiama ormai “statuto dell’embrione”. Cosa comporterà?
Il testo dell’art. 1 della legge 40 -come è noto- riconosce l’embrione come soggetto, alla pari degli altri soggetti implicati nel processo della riproduzione. Si tratta di una definizione di estrema rilevanza, che rappresenta, anche dal punto di vista storico, una grande novità. Non perché in precedenza, nei secoli passati, non si sia affermato che l’embrione è un soggetto, una persona. Anzi questa definizione comincia a esser elaborata già nella seconda metà del Settecento: è un discorso -in senso foucaultiano- che si costruisce in un territorio di confine tra scienza, teologia e filosofia, come ho dimostrato nel mio libro La nascita straordinaria. Ma in questo caso non stiamo parlando di correnti di pensiero, laiche o religiose, ma di uno Stato che legifera in tal senso, dando a questa concezione una sostanzialità giuridica.
Da questo punto di vista la legge ha un significato che trascende la materia specifica, perché introduce appunto la codificazione dell’embrione come soggetto giuridico, in quanto tale portatore di diritti pari a quelli degli altri soggetti in campo.
Tutto ciò premesso, che cosa ne consegue? Ne consegue una assurdità giuridica, anzi una “mostruosità” giuridica, perché si riconosce un soggetto che non solo non è ancora effettivamente tale, ma che per esserlo ha bisogno di un corpo materno che lo accolga, lo sviluppi e lo renda effettivo. Questa è la rimozione a livello di rappresentazione che si è riscontrata nel dibattito. Sia da parte della Chiesa, che da parte di molti ambienti politici, si sottace il fatto che si tratta di un essere “in potenza”, non di un essere “in atto”, per dirla assumendo una fondamentale distinzione aristotelica, come ricordava alcune settimane fa il filosofo Severino. Certo, la cellula fecondata potenzialmente potrebbe diventare una persona, ma alla “sola” (e ancora indispensabile) condizione che una donna decida di esserne madre. Il fatto che questo passaggio, dunque questa figura e la sua volontà, siano imprescindibili continua ad essere occultato, non detto. Che cosa sottintende questa cancellazione? Non solo una rappresentazione della donna come madre, ma una disponibilità essenziale del corpo femminile alla maternità, un’immagine della donna “in funzione” del figlio. Rappresentazione riproposta peraltro a livello simbolico dalla figura della Madonna (rinvio per questo al libro di Luisa Accati, Il mostro e la bella, Cortina 1998).
Per entrare poi nel merito della legge e delle sue conseguenze, è chiaro che questa codificazione dell’embrione solleva più di un problema rispetto alla legge sull’aborto. A prescindere dalle smentite di queste ultime settimane, con cui vari esponenti anche del fronte anti-abortista hanno assicurato di non voler chiedere la revisione della 194, di certo con questo testo si è creata una contraddizione legislativa: da una parte (legge 40) si afferma che l’embrione è un soggetto alla pari degli altri; dall’altra (legge 194) si riconosce alla madre il diritto di decidere in merito allo sviluppo di questo soggetto, sia pure in presenza di motivate ragioni. Da un lato si vieta la selezione degli embrioni malformati prima dell’impianto, dall’altro si consente alla madre di ricorrere all’aborto per questi stessi motivi di malformazione del feto. Ma se l’embrione è un “soggetto”, e non può essere selezionato neppure se portatore di malattie o malformazioni, allora a maggior ragione non può esser “abortito”, in una fase ben più avanzata del suo sviluppo. E’ una contraddizione lampante.
Questo problema dell’eugenetica, con i fantasmi razzisti che evoca, cos’ha a che a vedere con il sentimento materno, legittimo, che vuole assolutamente che un figlio sia sano, salvo poi essere capace di amarlo con una dedizione totale anche e soprattutto se malato?
C’è in questo molta confusione. Si mescolano discorsi diversi, parole diverse, contenuti e ...[continua]

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