Claudio Stedile è dirigente presso il Dipartimento Istruzione e politiche giovanili della Provincia Autonoma di Trento. Vittorio Menghini, ingegnere, è il direttore del Centro formazione professionale “G. Veronesi” di Rovereto.

Il centro di formazione professionale “Veronesi” in questi ultimi anni si è distinto per una serie di attività. Potete parlarcene?
Claudio Stedile. Innanzitutto occorre premettere che noi viviamo e operiamo in un contesto, quello del Nordest, dove il problema del lavoro non esiste, se non in senso contrario: abbiamo ragazzi che lasciano la scuola precocemente per andare a lavorare. In Trentino, in questo momento, ci sono ottocento ragazzi sotto i diciotto anni che lavorano senza nessuna qualifica; ragazzi, quindi, a rischio di espulsione non appena si verificheranno ristrutturazioni, ma soprattutto non sufficientemente attrezzati per “fare i cittadini”. Perciò siamo certamente all’interno di un quadro di benessere: abbiamo scuole attrezzate, con una certa disponibilità di soldi e con percorsi formativi che si avvalgono di esperti esterni, ma che, tuttavia, perdono ancora molti, troppi, giovani strada facendo.
Teniamo presente che alla scuola professionale accedono quelli che non vanno alle superiori. Io dico sempre che sono quelli più “orientati” perché già dai primi passi dentro la scuola capiscono che il loro sarà un destino scolastico di basso profilo. Sono quei ragazzi che giorno dopo giorno si rendono conto di avere un’intelligenza “altra” che non trova posto nei percorsi ordinari. Magari sono usciti dalla scuola media con “sufficiente”, ma quando andiamo a disaggregare il dato, vediamo che avevano varie insufficienze e magari in materie fondamentali come italiano, matematica o la lingua straniera. Sono ragazzi che hanno un codice linguistico ristretto che, oltre a limitare, di fatto, la loro capacità di scrittura e di comprensione di un testo, anche di meccanica, può diventare un limite anche nei rapporti interpersonali.
Accanto a questo apparato conoscitivo c’è poi un apparato emotivo fortemente segnato da una storia scolastica dove le ferite e le “feritine” all’autostima sono parecchie; la loro esperienza è spesso contrassegnata da un atteggiamento di fallimento: “Non ce l’ho fatta, non sono capace, non ci sono riuscito”. Anche se devo dire che quando li guardo nel piazzale, il primo giorno di scuola, in attesa di cominciare questo nuovo percorso, c’è sempre una nuova speranza sui loro volti, una volontà di riscatto: “Questa volta ce la faccio”. Un po’, forse, perché hanno raccolto informazioni e sanno che questa scuola difficilmente boccia, ma anche, forse, proprio per la straordinaria capacità dei ragazzi di rialzarsi e riprendere il cammino…
Qualche volta, purtroppo, rimangono delusi. Tuttavia uno dei nostri principali obiettivi è proprio lavorare affinché ciò non accada, affinché “non rimangano delusi”, attraverso il tentativo di creare una scuola in grado di valorizzare il loro tipo di intelligenza. E questo va da una serie di azioni cosiddette “ordinarie e aggiuntive”, come i corsi finanziati dal Fondo Sociale Europeo, ad altre, di tipo straordinario, che consistono nel restauro dell’aereo, nella progettazione dell’albero atomico e di un impianto fotovoltaico. Con il duplice scopo di impegnare i ragazzi in qualche cosa di straordinario e motivante, e di far giungere all’esterno un’immagine positiva del Centro: non una scuola di serie B bensì un luogo dove si fanno delle cose importanti.
Potete entrare nel merito di queste azioni straordinarie?
Claudio. Partiamo dall’albero atomico, un’opera alta cinque metri, un vero monumento pensato da un artista assieme ai ragazzi, fatto crescere al computer e poi realizzato nel reparto saldatura, e che, una volta terminato, verrà collocato nel piazzale antistante la stazione di Rovereto. Un’opera importante, quindi, esposta a tutti, compresi gli altri ragazzi dell’istituto, che potranno vedere cos’hanno realizzato i loro compagni di scuola.
Allora, già qui siamo fuori dall’ordinario. Basti pensare che di solito, ai corsi di saldatura, i ragazzi devono buttare in un cesto il risultato del loro lavoro. Immaginiamo la frustrazione… Invece qui il frutto del loro lavoro è un’opera d’arte esposta al pubblico. Tra l’altro, il corso di saldatura di solito è un corso di risulta, ovvero costituisce un ripiego, nel senso che, scartata la meccanica perché è troppo complicata, quell’altro indirizzo perché c’è troppa matemat ...[continua]

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