Sari Nusseibeh è rettore dell’Università Al Quds di Gerusalemme Est.

In questi ultimi mesi lei assieme ad Ami Ayalon, ex direttore dei servizi di sicurezza, lo Shin Bet, ha lanciato l’appello per una raccolta di firme a sostegno di un piano di pace basato sul riconoscimento di due Stati indipendenti, con capitale Gerusalemme, separati dalla frontiera esistente prima del 1967. In cosa il vostro progetto si differenzia dal piano di pace proposto dal Quartetto e dai principi che presiedettero alla firma degli accordi di Oslo?
La differenza con gli accordi di Oslo e con la Road Map è che questi piani non definiscono gli obiettivi nell’ambito di una soluzione negoziata e definitiva del conflitto. Entrambi parlano infatti della necessità di organizzare una conferenza tra le parti per dare inizio al negoziato nel corso del quale si definiscano gli scopi da raggiungere in vista della fine del conflitto. Il nostro piano propone invece fin dall’inizio i principi guida del negoziato e stabilisce a priori gli obbiettivi da conseguire. Questa è la differenza principale tra il nostro progetto e quelli formulati in passato, inclusa la Road Map.
Questi programmi inoltre sono stati elaborati all’estero e su iniziativa esclusiva dei leader della regione e si sono arenati al momento della loro messa in atto, della traduzione concreta sul terreno delle decisioni prese ad alto livello dai dirigenti di entrambi i popoli. Popoli che però non sono stati interpellati né coinvolti nelle iniziative politiche promosse dai loro capi. Il nostro piano si propone di fare esattamente il contrario, cercando di coinvolgere i popoli nella definizione degli obiettivi da raggiungere e questo esplicitamente e fin dall’inizio. Ora il problema di definire questi obiettivi consiste proprio nel fatto di doversi confrontare subito con le difficoltà che gli altri tentativi di pace hanno lasciato da parte, affrontando chiaramente la questione dello statuto di Gerusalemme, quella dei rifugiati, delle colonie, etc. La filosofia soggiacente ai precedenti negoziati, compreso quello del primo Camp David, era sempre stata di tralasciare tutti i problemi scottanti, concentrando gli sforzi in una prima fase transitoria durante la quale ristabilire la fiducia reciproca, necessaria a fare accettare ai dirigenti i penosi compromessi che sarebbero emersi nella fase finale del negoziato. Questo perché qualsiasi accordo definitivo implica inevitabilmente l’accettazione di duri compromessi da ambo le parti. Per questo motivo ho suggerito tempo fa la possibilità che i palestinesi rinunciassero alle rivendicazioni sul diritto al ritorno dei rifugiati in cambio dello smantellamento degli insediamenti ebraici in Cisgiordania.
Detto questo, sono perfettamente consapevole che coinvolgere direttamente e subito i popoli della regione nella determinazione della soluzione definitiva del conflitto sia un’enorme sfida perché attualmente sono proprio i popoli a dimostrare una minore disponibilità a fare concessioni dolorose.
Allo stato attuale la vostra iniziativa sembra essere stata messa in ombra dal moderato ottimismo che accompagna la Road Map. Lei crede che il vostro sia un progetto alternativo alla Road Map o complementare, cercando di coinvolgere l’opinione pubblica in favore del processo di pace? Perché una simile iniziativa in questo momento?
Vorrei prima rispondere all’ultima domanda sul perché adesso. E’ vero, la Road Map è stata resa pubblica più o meno nello stesso momento in cui abbiamo deciso di proporre il nostro piano. Potrebbe a prima vista sembrare che abbiamo voluto competere con la Road Map. Questo non è vero, poiché lavoravamo a questo progetto già da tempo, ben prima che si parlasse della Road Map. Ami Ayalon ed io avevamo già firmato questa iniziativa a luglio dell’anno scorso.
Abbiamo però procrastinato la pubblicazione della nostra iniziativa innanzitutto perché abbiamo aspettato i risultati delle ultime elezioni politiche israeliane, con le quali non volevamo in alcun modo interferire, e poi perché sorpresi dallo scoppio della guerra in Irak, di cui abbiamo atteso la fine. Solo dopo la conclusione di questi due avvenimenti abbiamo proceduto a rendere pubblica la nostra iniziativa, in concomitanza puramente casuale con la pubblicazione della Road Map. Pertanto il nostro timing non è dipeso dalla preoccupazione che la presentazione della Road Map da parte del Quartetto avvenisse più o meno contemporaneamente alla nostra dichiarazione ...[continua]

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