Salah-Eddine Bariki, di origine algerina, in Francia dal ‘62, si è laureato in Scienze politiche a Aix; giornalista, per 10 anni educatore in un centro che si occupava di giovani prostitute minorenni, oggi è direttore di Contact Club, un’associazione che si occupa di delinquenza giovanile, e membro di Marseille espérance. Vive a Marsiglia.

Che cos’è Marseille espérance, e quando è nata?
Marseille espérance, più che un’associazione, è un gruppo simbolico; è nata nell’89 attorno alla figura dall’ex sindaco di Marsiglia, Robert-Paul Vigouroux, un socialista dissidente.
Il gruppo raccoglie le principali etnie religiose, che a Marsiglia significa cristiani, armeni cattolici, ortodossi e protestanti, buddisti, israeliti e musulmani, e interviene ogniqualvolta si verificano episodi che mettono a repentaglio la pace sociale della città. Per esempio intervenimmo quando dei militanti del Front National uccisero un giovane di origine delle Comore; oppure nel ’95-’96 quando un giovane di 16 anni, uscendo da scuola sulla Canebière, incrociò un altro giovane di origine marocchina che, non si sa bene in seguito a quali circostanze, tirò fuori un coltello e lo uccise. Si trattava del figlio di un medico che attualmente è assessore con l’incarico dei problemi di delinquenza. Subito ci fu un tentativo da parte del Front National di appropriarsi dell’episodio e Le Pen venne a Marsiglia a una grande manifestazione organizzata dal Fronte. Ecco, in circostanze simili Marseille espérance appare pubblicamente nella stampa prendendo posizione affinché si riconoscano le tensioni create da una convivenza non sempre facile, e però contrastando qualsiasi strumentalizzazione volta a creare un’atmosfera di guerra civile. Marseille espérance è stata creata nell’89, ma siamo comparsi in pubblico alla vigilia della guerra del Golfo. A Marsiglia già allora c’era una forte comunità ebraica, e una forte comunità musulmana, così il sindaco sollecitò un impegno affinché la guerra non provocasse tensioni qui fra ebrei e musulmani. Devo dire che all’inizio, quando ci trovammo, non sapevamo bene cosa avremmo fatto insieme; iniziammo col proporre un calendario intercomunitario, con una sorta di glossario in cui si spiegano le feste di ogni comunità; ogni anno organizziamo una serata all’Opera di Marsiglia in cui ogni comunità presenta un po’ del suo folclore; ogni 3 anni, infine, organizziamo un convegno su argomenti concernenti la convivenza; il primo riguardava l’intolleranza e il dialogo, il secondo era sul ruolo sociale delle religioni, il terzo sulla famiglia e l’educazione; nell’aprile scorso, all’ultimo convegno, si è parlato di violenza e religioni.
Ci sono tensioni anche all’interno delle singole religioni?
A Marsiglia tutti i musulmani sono sunniti, non ci sono sciiti, quindi direi che non ci sono tensioni interne, non sul piano prettamente religioso almeno. Le divergenze interne all’islam sono sostanzialmente fra i vecchi e i giovani, fra i tradizionalisti, che praticano un islam tranquillo, di preghiere, e i giovani, la nuova generazione, i cosiddetti fondamentalisti, che a volte optano per un utilizzo politico dell’islam.
Qui si apre un capitolo quanto mai delicato. Cosa si intende per fondamentalismo? Una ragazza che porta il velo è fondamentalista? Dipende da cosa definiamo come fondamentalismo: i giovani che praticano una lettura politica dell’islam per me sono fondamentalisti, perché vogliono tornare alle origini, che per me sono oscurantiste. Loro però non si considerano fondamentalisti, si considerano moderni.
A Marsiglia ci sono 200.000 musulmani, 53 luoghi di preghiera, frequentati da 12.000 a 15.000 fedeli; lasciando da parte il Ramadan, considerando solo la preghiera, a frequentare la moschea è una percentuale che si attesta fra il 5 e il 10%, e dentro c’è di tutto: l’ipocrita, il commerciante che va a pregare perché lo vedano nella moschea, il vero fedele che crede.
La percentuale delle persone che osservano il Ramadan sale invece all’80%, anch’io che non sono praticante, però il Ramadan lo faccio: sono fondamentalista? Secondo me no; ma altri tendono a considerare anche quelli che fanno il Ramadan come fondamentalisti.
Tu lavori molto coi giovani immigrati. Come valutare questo ritorno alla religione in un’ottica appunto fondamentalista?
Io credo che il vero pericolo riguardi chi apertamente utilizza la religione a fini politici; qui ci sono persone iscritte, candidate in partiti politici presenti in ...[continua]

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