Claudia Alemanno, 24 anni, lavora in Svizzera e vive a Tirano, Sondrio.

Quando dico che faccio la cameriera in Svizzera c’è ancora chi mi chiede se mi toccano; una volta infatti le cameriere nei bar dell’Engadina erano quasi tutte valtellinesi e non avevano neppure lo stipendio, guadagnavano solo con le mance, il cliente quindi aveva un certo potere e loro dovevano stare al gioco. La tradizione della mancia è rimasta, ma adesso non è più così, anche se, non essendo a casa tua, è inevitabile subire certe cose, ad esempio il modo in cui considerano l’Italia: sanno che è un bel paese, ma non lo ammetterebbero mai, e se anche riconoscono qualcosa di buono devono subito dire che è più bella la Svizzera, perché è più pulita e meglio organizzata. Sono legatissimi alla loro confederazione, pagano le tasse, tante, e ne vanno fieri, comprano solo i loro prodotti e odiano i connazionali che vanno a fare la spesa in Italia per pagare meno. I giornali italiani arrivano tutti i giorni, ma neppure li guardano, leggono il Blik, il quotidiano in tedesco, perché dicono che lì ci sono le notizie vere, senza chiacchiere inutili. Il Blik è pieno di foto, anche molto grandi e colorate; a volte me lo faccio tradurre, perché io so poco il tedesco, dato che a Poschiavo si parla il poschiavino, un dialetto romancio che somiglia al nostro di Tirano. Loro dicono che è una lingua e lo usano anche a scuola, a me invece dà fastidio soprattutto se lo parlano i bambini. Io comunque mi esprimo sempre e rigorosamente in italiano, me lo fanno notare, ma ormai ci scherziamo su, in fondo mi trovo bene. Lavoro con due ragazze, un’italiana e una svedese, siamo organizzate perfettamente, una fa la mattina, una la sera e l’altra ha il giorno libero; il bar è piccolissimo e frequentato soprattutto dalla gente del paese. Tra di loro sono molto uniti, nella valle di Poschiavo si conoscono tutti e il bar è il posto dove s’incontrano, ci sono grandi tavoli rotondi dove la gente si siede insieme e parla di tutto, se c’è un tavolo dove si fa festa chiunque può unirsi. Le mie colleghe restano a Poschiavo anche a dormire, io invece non riuscirei, mi piace dormire in Italia.

La prima volta che ho lavorato oltre confine è stata l’estate che mi hanno bocciato in prima magistrale. Mi sentivo in colpa nei confronti dei miei e volevo riparare a quell’anno sprecato. Ero ancora molto insicura, non sapevo nemmeno se continuare a studiare. Mi hanno preso in un ristorante di Le Prese, vicino a Poschiavo, in cucina. Dovevo preparare le insalate, lavare i piatti, pulire e occuparmi della lavanderia. Non mi ero neppure accordata sulla paga, così poi mi hanno dato un compenso indicativo, comunque non avrebbero potuto mettermi in regola, perché non avevo ancora 16 anni. Volendo mi avrebbero tenuta anche dopo l’inizio della scuola, nei fine settimana, ma io ho preferito cambiare, perché quel lavoro mi ricordava un brutto periodo, una fase di grande confusione. Già in terza media avevo le idee poco chiare, volevo fare qualcosa che mi permettesse di stare coi bambini, ma i professori mi avevano detto di dimenticarmele proprio le magistrali, infatti non andavo molto bene. E’ che ho sempre voluto fare tante cose e la scuola non era certo al primo posto, non mi dava la soddisfazione che ottenevo, ad esempio, dalla pallavolo. Ho sempre avuto bisogno di passare molto tempo con gli amici e conoscere gente nuova, le trasferte quindi mi riempivano la vita. Vedo tante persone che vanno bene a scuola, ma non sono contente, perché fanno una vita da automi, passano il pomeriggio a studiare, poi mangiano e dopo cena studiano ancora, arriva il sabato e sono troppo stanche per uscire. Io invece aspettavo solo il sabato per poter uscire di più.
L’anno alle magistrali mi è servito per capire con chiarezza che lo studio non era per me; mi piaceva scrivere e disegnare, ma la matematica e il latino avrei dovuto impararli a memoria. In terza media non hai una visione chiara delle diverse scuole e non conosci neppure bene te stesso, è troppo presto per scegliere, e poi sei estremamente influenzabile, dovresti poter provare. Io sono stata fortunata, infatti neanche il professionale era stata una scelta consapevole, ci sono andata perché ormai era settembre, io non mi ero ancora iscritta a una scuola e lì erano rimasti dei posti; non immaginavo che sarebbe stata l’esperienza centrale per la mia crescita.
Le mie nuove compagne erano molto più ingenue di quelle delle magistrali, p ...[continua]

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