Angelo Bonsignori è nella segreteria della Camera del lavoro territoriale Cgil Brianza di Monza, dove si occupa di politiche per lo sviluppo territoriale, sociali e sanitarie.

Può spiegarmi che città è Monza e come è stata amministrata prima della vittoria di Faglia e del centrosinistra alla scorse elezioni comunali?
Che io ricordi Monza ha sempre avuto amministrazioni di pentapartito; alcuni politici locali poi sono stati coinvolti in tangentopoli e in seguito è stata una delle primissime città del nord ad avere un’amministrazione leghista, che però cadde quasi subito. A quel punto il vecchio blocco di potere si ricompose in Forza Italia, anche con una continuità di rappresentanti: assessori delle giunte pentapartito della prima repubblica che si sono riciclati in quelle liste. Guardo questa città con attenzione e mi sento di definirla bella, perché pur essendo una grande città non ne presenta gli svantaggi. Certo ha una popolazione molto chiusa e conservatrice e per questo, proprio mentre il dinamismo di altre città brianzole aumentava, Monza è rimasta ai margini delle dinamiche regionali. Alla base di questa chiusura ci sono alcune ragioni di ordine socio-economico. Innanzitutto una popolazione che continua ad invecchiare; la metà circa infatti supera i 45 anni e i giovani diminuiscono costantemente. Un dato allarmante è che i bambini sino a 5 anni sono scesi dall’8,5% al 4,5% della popolazione dal ‘71 ad oggi, e se non ci fossero un po’ di immigrati (tra l’altro pochi, malvisti e male accolti) a impedire il saldo demografico negativo, si potrebbe dire che la città sta morendo. Poi c’è la perdita di quel ruolo di polo industriale avanzato che aveva sempre avuto a partire dai primi del ‘900. Monza è stata una delle prime città italiane ad avere un accelerato sviluppo industriale; era famosa ad esempio l’industria del cappello, erede di una fiorente tradizione artigianale, che ne fece un centro di rinomanza mondiale: i famosi cappelli dei cowboys si facevano qui e si esportavano negli Stati Uniti. L’industria del cappello dette poi propulsione a tutto il settore tessile; agli inizi del secolo questa era una delle maggiori città operaie italiane, governata da una serie di amministrazioni socialiste riformiste che avevano fondato diverse aziende municipalizzate per la gestione dei settori di utilità sociale, dalla centrale del latte all’azienda elettrica a quella dei trasporti. Il declino di questa dimensione produttiva, conclusosi qualche anno fa con la chiusura della Philips e con le cattive notizie che stanno arrivando da una multinazionale produttrice di trasformatori elettrici, non è stato sostituito da altre attività, perché la vicinanza con Milano ha fatto sì che tutto il terziario gravitasse sul capoluogo regionale.
Ci sono responsabilità politiche in questo declino?
Sicuramente è anche il frutto delle politiche delle precedenti amministrazioni. Ma bisogna considerare che qui abbiamo una situazione particolare: circa il 30% della popolazione monzese vive di rendita. Spesso si tratta di vecchie famiglie industriali originarie del posto, che poi si sono date ad attività finanziarie o immobiliari e ora magari vivono all’estero, a Montecarlo o in Svizzera, ma conservano la loro residenza in città. Per questo parlo di una città bella: quando nella popolazione c’è un’alta percentuale di ricchi si ha un’edilizia di qualità, poi il parco e la Villa reale innalzano ulteriormente il livello estetico del territorio. Tutto questo ha determinato valori immobiliari astronomici, in alcuni casi superiori a quelli di Milano; valori che da decenni impediscono alle nuove generazioni di poter risiedere in città. A margine esistono anche quartieri non belli, quelli di edilizia economica e popolare che erano sorti negli anni del boom economico e ora sono degradati per carenza di investimenti e manutenzione. L’ondata d’immigrati meridionali comunque è stata l’ultima di una certa consistenza; gli extracomunitari adesso preferiscono insediarsi nei comuni vicini di Sesto o Cinisello, dove gli affitti sono più bassi e vengono accolti meglio. Del resto anche i vecchi immigrati meridionali avevano trovato lavoro in pochi nelle industrie ancora presenti in città (tessili e meccaniche), la maggior parte invece lavorava a Sesto San Giovanni, da cui ci separa solo un viale. E’ da quel periodo che la capacità espansiva della città si è bloccata, anche se Monza mantiene una grande qualità in certi servizi, per esempio ...[continua]

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