Shulim Vogelmann, nato a Firenze, 23 anni, studia Storia all’università di Gerusalemme. Dopo un’esperienza di quattro anni in Israele ha deciso di prendere anche la cittadinanza israeliana.

La prima volta che sono stato in Israele avevo tredici anni; ci sono poi tornato a diciassette, comunque sempre brevi esperienze estive durante le vacanze, mentre frequentavo il liceo. Conclusa la maturità, spinto anche dal fatto che non sapevo esattamente cosa fare, a quale università iscrivermi, ho deciso di fare una pausa di un anno e di partire per Israele, principalmente per andare ad imparare l’ebraico, poi invece, essendomi trovato molto bene, ho deciso di farci l’università e dunque di passarci due, tre anni. Ora ho davanti agli occhi proprio l’ultimo anno, che è stato faticoso e pieno di tensioni, tuttavia, io sono arrivato nel ‘98, quando ancora il processo di pace era in piedi, per cui ricordo un’atmosfera ben diversa da quella che c’è adesso, la popolazione era più ottimista, più rilassata, più contenta anche; la differenza tra una situazione di pace e una di guerra si avverte proprio per strada, guardando il viso della gente. Devo dire che il primo anno non sono entrato a far parte della società israeliana perché avevo principalmente amici stranieri, anche loro venuti, appunto, a conoscere la realtà di Israele...

Mio nonno, Shulim Vogelmann, di cui porto il nome ma che non ho conosciuto, è una figura centrale, sia nella mia vita che nella storia di questa famiglia. L’evento principale della sua vita, che ha influito su di me e su mio padre, è il fatto che sia un sopravvissuto di Auschwitz; non a caso mio padre è editore di una casa editrice, la Giuntina, che per lunghi anni ha pubblicato quasi esclusivamente libri riguardanti la Shoà. Dunque, la Shoà e l’esistenza di un fenomeno quale l’antisemitismo sono stati argomenti sempre molto presenti nella mia formazione. Forse proprio questo fatto mi ha portato in Israele. Infatti, ho sempre pensato allo Stato d’Israele come alla soluzione della cosiddetta questione ebraica, ossia al fatto che gli ebrei, nonostante che dopo l’emancipazione abbiano tentato anche un’assimilazione, un entrare all’interno delle società, sono sempre stati cacciati fuori da questo meccanismo antisemita, che ha avuto il suo apice nella Shoà. Insomma, alla fine, ho deciso di andare a verificare cosa veramente fosse lo Stato di Israele. In altre parole, sono partito per curiosità: in fin dei conti Israele è uno Stato fondato e creato dagli ebrei e per gli ebrei.

Sono andato da solo, non conoscevo nessuno, se non stranieri, certo sempre ebrei, ma che tuttavia erano al di fuori della società. Solo con l’inizio dell’università ho cominciato a conoscere israeliani, e adesso li frequento regolarmente, così sono entrato a far parte di questa società, sono stato accettato e ho iniziato a preoccuparmi di tutta una serie di problematiche, che riguardano Israele e il popolo ebraico.
Anche la mia stessa identità è cambiata profondamente. Prima di andare in Israele a connotarla in senso ebraico c’era questa presenza di mio nonno, di questo evento che è la Shoà, quindi di un essere ebreo che voleva dire essere parte di una minoranza, una minoranza che nella storia era stata perseguitata. Così, nonostante io non mi sia quasi mai imbattuto in fenomeni antisemiti, comunque, rimaneva sempre quest’ansia, questa paura che mi era stata trasmessa, anche se io non ne ho poi mai fatto un complesso, non ha mai veramente influenzato i miei comportamenti. Comunque, questo era il fondamento della mia identità ebraica, prima. Invece in Israele si sono aggiunte altre componenti, prima di tutto il sentimento nazionale. Del resto, parliamo di uno Stato ancora in via di formazione e che deve lottare per la propria esistenza a causa dei conflitti con gli Stati arabi e con i palestinesi. Poi è sopraggiunta la coscienza delle tensioni fra le componenti religiose e quelle laiche, e ancora il conflitto interno fra gli ebrei israeliani e gli arabi israeliani per la parità di diritti. Insomma, tutti i vari problemi della società israeliana, che prima non mi riguardavano o riguardavano solo i miei amici israeliani, improvvisamente, sono diventati anche miei, cosicché alla fine, pur non avendo un passaporto israeliano, io mi sento anche israeliano.

Resta il fatto che su ogni tema io porto un punto di vista diverso perché diciotto anni vissuti vedendo le cose dall’esterno hanno fatto sì che pur essendo coinvo ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!