Vincenzo Consolo è uno dei maggiori scrittori italiani contemporanei. Nottetempo, casa per casa, L’olivo e l’olivastro, Le pietre di Pantalica, editi da Mondadori, sono fra i suoi romanzi più recenti, caratterizzati dalla particolare costruzione formale e dalla profonda sensibilità sociale e civile.

Durante un incontro pubblico, lei ha detto che scrive romanzi di ambientazione storica perché non trova il linguaggio adatto a raccontare la contemporaneità…
Io sostengo che questa nostra società -che è chiamata la ‘prima società’, cioè quella più sviluppata, se non più avanzata- sia inenarrabile perché in essa non esiste più lo strumento essenziale del romanzo, cioè la lingua, una lingua che accomuni. Nella nostra società, che è la ‘società dell’informazione’, poi, chi oggi ce la racconta veramente, giorno per giorno, sono i giornali, i mezzi di comunicazione di massa. E’ per questo che credo che il romanzo sia attualmente praticabile soltanto nei paesi ancora non sviluppati, dove l’idea che si ha del mondo è assolutamente diversa da quella che abbiamo noi. Nell’Ottocento il romanzo aveva, oltreché una funzione poetica, una funzione logica, cioè di illustrazione e discussione di idee e concetti, e una funzione informativa rispetto a quella stessa società cui si rivolgeva -pensiamo ai romanzi di Balzac, di Proust, degli scrittori russi, che hanno dato un’immagine profondissima delle loro società-, ma questo accadeva perché non c’era stata la rivoluzione elettronica e la rivoluzione dell’informazione. Oggi, che quelle rivoluzioni sono avvenute, il romanzo ha perso questo spazio di informazione attraverso la rappresentazione e quindi ha perso la funzione di raccontare facendo pensare. Nel contesto della società elettronica, in cui veniamo informati ‘in tempo reale’ su tutto, in cui continuamente un’informazione scaccia l’altra, la funzione del romanzo romanzesco, della narrazione con l’intreccio, è non solo impossibile, ma assolutamente inadeguata ed inutile.
Per questo, nella mia scrittura, sto cercando di spostare il registro verso la zona dell’intensificazione del significato della parola, cioè verso la zona della poesia, la qual cosa porta a una ‘verticalizzazione’ del romanzo che forse può riuscire a mantenerlo nello spazio letterario. Certo la ‘verticalizzazione’ della letteratura può ridurre il numero dei suoi lettori, ma questo è lo scotto che si paga. Nella diatriba che lo oppose ai fautori del ‘realismo socialista’, Majakovskij diceva che deve essere il popolo ad accostarsi all’arte, non dev’essere l’artista ad accostarsi al popolo. Se l’artista -cioè chi dipinge, chi fa musica o chi scrive- non viene ‘praticato’, non viene capito, vuol evidentemente dire che c’è stata una frattura, un distacco, fra lui e quello che i sociologi chiamano il ‘contesto-situazione’, cioè c’è stata una frattura fra il testo letterario e il contesto situazionale. Ma questo non vuol dire che allora l’artista debba abbassare quelli che sono i valori dell’opera, la forma, la sostanza; non vuol dire che l’artista debba essere condiscendente verso una società che è regredita. Un artista, oggi, non può che puntare sul futuro, sperando che nel futuro si riesca, nel mare di carta stampata in cui siamo sempre più immersi, a discernere i veri libri dai falsi. Quando, nel 1881, uscì I Malavoglia di Verga fu un fallimento totale. Allora imperversava la cifra dannunziana, tutta l’Italia era invaghita di D’Annunzio, e I Malavoglia cadde miseramente, venendo riscoperto solo nel secondo dopoguerra, dopo la catastrofe del fascismo. Eppure, nonostante l’insuccesso, Verga scriveva al suo amico Capuana che, se avesse dovuto tornare a scrivere I Malavoglia, lo avrebbe scritto nella stessa maniera in cui l’aveva scritto, perché, diceva, “Il fallimento non è mio, il fallimento è dei lettori”. Tutti noi scrittori che ancora crediamo nella letteratura oggi dovremmo dire così, perché il fallimento non è nostro, il fallimento è del contesto, dei lettori. Se i lettori leggono questi romanzacci americani che ci vengono imposti con la potenza della pubblicità, allora peggio per i lettori. Capisco che i lettori, poveretti, siano portati a ubbidire supinamente ai messaggi pubblicitari, però devono anche sviluppare un senso critico, darsi un po’ da fare: perché in Francia, in Spagna, questo senso critico c’è? Perché solo questo paese è culturalmente terremotato? A me pare che nel nostro paese sia in atto una continua cancellazione della memo ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!