Michel Wieviorka, sociologo, direttore del Centro di Analisi e d’Intervento Sociologico (Cadis) dell’Ehess di Parigi. E’ fondatore e direttore della rivista Le Monde des Débats. Ha curato la raccolta di saggi Une socièté fragmentée? Le multiculturalisme en débat, ed. La Découverte, 1996. Il suo ultimo libro è La Différence, ed. Balland, 2001.

In questi anni l’impatto con le ondate immigratorie ha riproposto con forza il problema dell’integrazione. Tutti i modelli di società esistenti, però, da quello universalista francese a quello anglosassone, più comunitario, a quello tedesco rigidamente etnico, si sono trovati a dibattersi fra relativismo, rispetto delle differenze e dei particolarismi, e universalismo. E anche il dibattito su questi temi è stato molto acceso. Ci pare di capire che lei vede una situazione ormai del tutto cambiata rispetto agli anni passati. E’ così?
Infatti, penso che in questi anni sia cambiato tutto: la realtà, innanzitutto, poi il dibattito politico, e le categorie di filosofia politica. Forse è opportuno ripercorrere i passaggi che hanno reso la questione culturale ormai indefinibile.
Tutto è iniziato negli anni ‘60 quando in un certo numero di paesi si è assistito alla prima ondata delle nuove rivendicazioni culturali. Adesso siamo nel 2001 e quindi sono 35-40 anni che si pongono queste questioni, ma come si sono espresse all’inizio? Pur con tutte le differenze fra paese e paese, possiamo affermare che queste rivendicazioni si sono presentate come etniche, c’erano i movimenti regionalisti, c’è stato il ritorno della questione femminile, il movimento omosessuale, che non era del tutto nuovo (ce n’era stato uno fra le due guerre), la trasformazione, in due-tre paesi soprattutto, del mondo ebraico, e così via. Ma l’essenziale delle trasformazioni degli anni ‘60 e ‘70 è che la questione culturale è rimasta relativamente separata dalla questione sociale. Apparentemente, le rivendicazioni politiche e culturali all’epoca non erano fortemente segnate dai temi sociali.
Poi negli anni ‘80, con le immense trasformazioni economiche, industriali, sociali, con l’estensione dei problemi di disoccupazione, di economia informale, giungono nuove rivendicazioni culturali che si legano fortissimamente con la questione sociale. Diventa evidente che il legame fra l’esclusione sociale, la discriminazione razziale e l’affermazione identitaria. Prendiamo l’islam in Francia. Qui i giovani musulmani sono in gran parte poveri, esclusi, vittime del razzismo e diventano o ridiventano musulmani in questo contesto. Capitemi bene: non spiego il culturale, il religioso con il sociale, non è questo. E tuttavia ritengo che non si possa, come prima, separare così nettamente la questione culturale da quella sociale. Il secondo esempio è rappresentato dalle situazioni in cui socialmente certi gruppi vogliono dissociarsi da altri più poveri di loro e in cui l’affermazione culturale ha una dimensione sociale, persone che non vogliono regredire socialmente, vogliono prendere le distanze dai poveri; la Lega Nord nasce in situazioni in cui persone piuttosto ricche, attive economicamente, dicono: “Non vogliamo restare con gli altri che sono più poveri”. Di qui l’affermazione culturale, la Padania. Insomma, l’affermazione di un’identità culturale diventa indissociabile, mi sembra, da certi temi sociali. E si può dire la stessa cosa per il Belgio, per l’Austria con Haider o per la Francia col Front National, evidentemente con tutte le sfumature del caso.
Questa moltiplicazione delle identità culturali associata in modo estremamente diversificato a questioni sociali, questa pressione contemporanea delle identità culturali e dei temi sociali, oggi sono percepiti come ineluttabili nelle nostre società. Sappiamo che sono problemi coi quali dobbiamo convivere, non sono fenomeni congiunturali, anzi ce ne saranno sempre di più, e saranno imprevedibili, alcuni stabili, altri instabili e destinati a scomporsi e ricomporsi costantemente.
Ciò che è cambiato è che oggi sappiamo che più saremo moderni e più inventeremo delle tradizioni e delle identità.
In altre parole, la vera novità è che ora abbiamo capito che bisognava rompere completamente con i ragionamenti evoluzionisti che dicevano: passiamo dalla tradizione alla modernità e più siamo moderni meno ci saranno tradizioni, identità, particolarismi, ecc.
Questo però significa che allora non possiamo più continuare a parlare in termini di integrazione. La stessa ...[continua]

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