Aris Accornero è docente di Sociologia industriale all’Università La Sapienza di Roma. Ha pubblicato L’ultimo tabù, Editori Laterza, 1999. Ha steso la voce “Lavoro” per l’Appendice 2000 dell’Enciclopedia Treccani.

Si parla da tempo di crisi dei sindacati. Qual è la sua opinione: il declino è inevitabile?
Io penso che il futuro dei sindacati non sia un rapido declino, per molte ragioni. Considerando il problema su base generale, vediamo da una parte nazioni ove c’è un declino talvolta drammatico della rappresentatività e del potere dei sindacati; dall’altra, in molti paesi in via di sviluppo si ripresenta tutta la nostra vecchia storia. Io seguo abbastanza la situazione di Taiwan: è incredibile come rapidamente, con i sindacati, abbiano ottenuto quello che noi abbiamo conquistato nel giro di molti decenni. L’affermarsi del principio dei diritti e delle strutture dei sindacati da loro è quasi commovente. Lo stesso accade in altri paesi in via di sviluppo, come la Corea, dove i sindacati hanno un certo peso politico, anche di contestazione. Allora la generica prospettiva di un declino dei sindacati potrebbe essere circoscritta a una parte del mondo, oppure potrebbe addirittura non essere vera. C’è poi da dire che quand’anche fosse realistica una prospettiva di declino, i tempi sarebbero piuttosto lunghi, almeno per le nostre realtà; ci sono paesi in cui è molto difficile oggi governare senza i sindacati, e parlo di interventi a livello dell’azione di governo, non soltanto di azioni negoziali.
Le democrazie contemporanee hanno bisogno più di ieri del consenso sociale e il sindacato è un veicolo di consenso; qualche volta si tratta di un consenso formale, fatto di fugaci incontri o di beneplaciti estorti ai sindacati, però agire totalmente senza di loro non è facile, sia nei paesi delle vecchie socialdemocrazie, sia nella stessa terra del laburismo dove il governo della signora Thatcher ha fatto “cose turche” contro i sindacati.
Alla luce della teoria politica, in un’ottica tocquevilliana (anche se lui non la pensava proprio così), il sindacato è uno dei corpi intermedi della società e non sembra facile disfarsene. Certo, si può ritenere che la prestanza politica dei sindacati, o la loro notorietà sociale, oppure lo smalto talvolta anche culturale del passato si stiano riducendo. Ma considerare questa istituzione “rapidamente e necessariamente peritura”, come fa Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, è un grosso errore. In Italia Felice Mortillaro, che capeggiò la Federmeccanica, nei primi anni ‘80 partì un po’ lancia in testa con questa prospettiva, ma ha dovuto fermarsi; le imprese stesse hanno sostenuto che in questa direzione non si andava molto avanti. Detto questo, mi rendo ben conto che il fatto che molti imprenditori non considerino realistico disfarsi dei sindacati è legato più a ragioni utilitaristiche che a motivi culturali e sociali: chiaramente si tratta di un calcolo, in questo caso abbastanza razionale.
Ci sono però dei dati che hanno portato a parlare di declino …
Il caso italiano è particolarissimo, perché la supposta crisi e il conseguente declino dei sindacati non sono testimoniati da molti dati. Forse l’unico che si può addurre è lo spostamento fra gli iscritti attivi e gli iscritti ormai inattivi; tuttavia, da un punto di vista realistico, perché dovremmo ritenere defunto o sparito il lavoratore che non è più tale, ma è diventato pensionato? Non parliamo sempre e soltanto di problemi di pensioni? Fra l’altro, tutta l’Europa ha problemi di bilanci pubblici legati alle pensioni; tutti i partiti politici rincorrono i pensionati. Allora, chi rappresenta i pensionati (peraltro per il buon motivo che li rappresentava anche quando erano lavoratori), non è un individuo dimezzato o un’organizzazione senza titoli in quanto rappresenterebbe più inattivi che attivi; tra l’altro i pensionati, sotto il profilo sociale e culturale, sono molto attivi. Gli elementi di crisi dunque non sono imputabili alle iscrizioni che, tra l’altro, sono in ripresa un po’ per tutti i sindacati, addirittura per via degli immigrati e questo è un indicatore curioso, che va indagato.
Consideriamo anche un elemento di segno contrario che paradossalmente non attesta la crisi: in Italia da anni sta crescendo il numero dei sindacati. Allora, possiamo anche definirli effimeri, e spesso è così, ma questa non mi sembra una gran prova che i sindacati stiano morendo; sicuramente è un segno di malessere, ma non d ...[continua]

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