Claude Lefort, fondatore insieme a Cornelius Castoriadis della rivista Socialisme ou barbarie, insegna attualmente al Centre d’études politiques Raymond Aron di Parigi. Lo scorso anno ha pubblicato presso Fayard La complication, retour sur le communisme, ora in corso di traduzione presso Eléuthera.

Al termine del XX secolo, quale bilancio si può fare dell’esperienza comunista?
Credo che il fenomeno comunista abbia sconvolto, letteralmente, lo scenario storico e politico quale si era delineato sul finire del XIX secolo. Esso conquistò in breve tempo il sostegno di gran parte del movimento operaio europeo, riuscendo a contrabbandare per emancipazione del proletariato, secondo il progetto di società socialista quale era stato immaginato dai pensatori dell’Ottocento, in primis Marx, l’accaparramento del potere da parte di un partito che si credeva capace di dettare ciò che era giusto, buono e vero in tutti gli ambiti della vita sociale. Il comunismo si è diffuso e radicato in Europa occidentale in seguito alla vittoria del bolscevismo in Russia. Per cui, a lungo ci si è illusi che in Russia si stesse consolidando una società fondata sulla dittatura del proletariato, che avrebbe inevitabilmente portato a una società senza classi. La speranza, l’illusione, che almeno in un paese al mondo stesse nascendo una società comunista fu talmente forte da resistere alle prime testimonianze, note già a partire dagli anni Trenta, sulla violenza sistematica, sulla pratica del terrore del regime bolscevico.
Proprio all’indomani della seconda guerra mondiale i partiti comunisti registrarono notevoli incrementi elettorali in Europa occidentale, in particolare in Francia e in Italia.
Io stesso rimasi affascinato dalla politica rivoluzionaria e dal ’43 al ’48 militai in un piccolo gruppo trotzkista. Fin dall’inizio della mia attività politica, quindi, fui antistalinista sia per quanto avevo già letto sull’Urss in articoli di piccole riviste di sinistra, sia per la ripugnanza che m’ispirava il partito comunista per il suo culto della disciplina e il suo unanimismo. L’idea che si potesse obbedire senza discutere in nome di una presunta buona causa e che i capi avessero sempre ragione mi ripugnava profondamente.
Sebbene anche i trotzkisti fossero sostanzialmente dogmatici, perché continuamente ricorrevano ai testi sacri del marxismo, tra loro vi era un senso di libertà assente nel Pcf per via dell’intenso dibattito fra i militanti che passavano il proprio tempo a scindersi e a separarsi. Comunque, poiché il quadro teorico marxista non poteva essere messo in discussione, insieme ad alcuni compagni, fra cui Castoriadis, giunto in Francia nel ’45, dopo aver già formulato una teoria sul permanere del capitalismo in Russia per via della divisione che continuava a sussistere fra il capitale, nelle mani dello stato, e il lavoro, fondai nel ’48 il gruppo Socialisme ou barbarie.
La critica al comunismo quindi è stata subito centrale nella sua riflessione...
Diciamo che di comunismo ho iniziato a scrivere a partire dalla fine degli anni Quaranta. Ricordo che il primo articolo lo scrissi in difesa di Kravcenko, le cui memorie avevano fatto scalpore in Francia e negli Stati Uniti, ma erano state denunciate dai comunisti francesi come un cumulo di menzogne. Sempre nello stesso periodo scrissi un articolo in occasione della traduzione francese delle memorie di Ciliga, dirigente comunista jugoslavo e della Terza Internazionale, cacciato dalla Jugoslavia e rifugiatosi in Unione Sovietica, dove scoprì la natura burocratica di quel regime. Erano gli anni in cui Sartre, e non solo lui, ma gran parte dell’intellettualità progressista francese, sosteneva apertamente il comunismo.
Ricordo che nel ’45 scrissi un articolo che criticava I comunisti e la pace, il pamphlet in cui Sartre difendeva apertamente l’Unione Sovietica e l’ideologia comunista. Quell’articolo mi costò la collaborazione a Les Temps Modernes, la rivista fondata da Sartre stesso, su cui scrivevo fin dalla sua nascita.
Quindi, vi separaste dai trotzkisti perché erano incapaci di andare fino in fondo nella critica al comunismo?
Sì, per loro vi era un buon Lenin, un buon Trotzky e un cattivo Stalin. Nelle prime elezioni libere in Francia, nel ’45, i trotzkisti spingevano perché si arrivasse a un governo fra socialisti, comunisti e sindacati. Io non capivo perché, da un lato, denunciassero l’Urss e lo stalinismo, e poi alle elezioni chiedessero di votare per il Pcf. La ra ...[continua]

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