Antonio G. Calafati, ricercatore presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Ancona, insegna Economia Politica III nella Facoltà di Economia della stessa Università.

Polanyi non è un pensatore molto conosciuto al di là degli addetti ai lavori. Dipende dalla sua collocazione eretica rispetto all’ortodossia neoclassica e a quella marxista?
Certo il suo pensiero non rientra nel paradigma neoclassico e neanche in quello marxista, e questo non ha facilitato la diffusione della conoscenza delle sue opere, almeno in Italia. Opere che, comunque, nel nostro Paese sono state ampiamente tradotte -anche se con prefazioni o introduzioni così diverse nell’impostazione l’una dall’altra da far ogni volta pensare che si trattasse di un autore diverso. Credo che in effetti il suo itinerario professionale, anomalo e in un certo senso "difficile", non abbia facilitato la diffusione dei risultati della sua ricerca. Polanyi ha potuto dedicarsi completamente alla ricerca soltanto dopo i cinquant’anni, nel 1947, quando entra come professore alla Columbia University di New York. Dopo aver lasciato l’Ungheria era stato per molti anni giornalista a Vienna e successivamente insegnante in Inghilterra. Quando entra alla Columbia University, aveva già scritto. La grande trasformazione (1944), che era uscita nel 1944, costituisce il gruppo di ricerca da cui nascerà il suo libro più impegnativo Traffici e mercati negli antichi imperi, pubblicato nel 1957. Una ricerca durata dieci anni che raccoglie scritti di Polanyi e dei suoi collaboratori. Polanyi muore nel 1964, e le altre sue opere più note -Il commercio degli schiavi nel Dahomey (1964) e La sussistenza dell’uomo (1977)- usciranno postume a cura dei suoi allievi. Comunque, credo che la principale ragione delle difficoltà incontrate nell’utilizzazione, sul piano analitico, del pensiero di Polanyi sia il carattere transdisciplinare della sua opera, un fattore che è in grado di spiegare la relativa diffusione del pensiero di altri scienziati sociali del Novecento.
Resta il fatto che si tratta di un autore eretico...
Non so se sia veramente un autore eretico. Credo che Polanyi appartenga ad una linea di pensiero, molto ben visibile nel Novecento, che va da Veblen fino a Commons, da Myrdal a Hirsch, da Hirschman a Sen, solo per citare alcuni nomi noti anche in Italia. L’idea centrale di Polanyi -vale a dire che il processo economico è incastonato nel sistema sociale, che l’economia è un prodotto delle relazioni sociali- non è a mio avviso eretica. Al contrario, si può dire che sia alla base del pensiero degli autori appena citati. Inoltre, si tratta di un’idea che è stata dominante nelle politiche pubbliche. Nel campo delle politiche pubbliche, in modo evidente a partire dagli anni Trenta, la regolazione sociale del processo economico è diventata centrale. Ad esempio, la insostenibilità sociale di un mercato competitivo del lavoro -forse il punto centrale di tutta la critica di Polanyi all’economia di mercato- era una tesi largamente condivisa, niente affatto eretica. Suggerendo un parallelismo che andrebbe sviluppato (e per nulla singolare), sarebbe sufficiente ricordare che prima della definitiva affermazione dello Stato sociale, il lavoro come merce aveva perso di rilevanza teorica. Nell’opera di Keynes i salari erano (e dovevano rimanere) fissi: nella sua "teoria" non c’era un mercato del lavoro vero e proprio. I salari "fissi" sono importanti quanto la parziale socializzazione degli investimenti in Keynes. Se consideriamo Polanyi eretico, allora dobbiamo considerare eretico gran parte del pensiero sociale del Novecento. Non credo sia la strada giusta per orientarsi.
Che influenza ha avuto la prospettiva metodologica di Polanyi sullo studio del processo economico?
L’ampliamento del sistema categoriale che Polanyi propone per lo studio del processo economico è di straordinario interesse. L’utilizzo integrato delle categorie dello "scambio", della "redistribuzione" e della "reciprocità", così come la sua contrapposizione tra "economia formale" e "economia sostanziale" hanno permesso di stabilire nuovi nessi causali e di suggerire nuove interpretazioni. Ed è ciò che ha permesso a Polanyi di proporre l’originale lettura dell’emergere del capitalismo data ne La grande trasformazione. Allo stesso tempo ha posto Polanyi in sintonia con un rilevante -e affascinante- filone del pensiero sociale ed economico del Novecento. In primo luogo, e da una prospettiva storica, si potrebbe d ...[continua]

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