Charles Najman è un giovane regista ebreo francese. Il suo bellissimo film, La memoire est-elle soluble dans l’eau?, che sullo sfondo degli stabilimenti termali di Evian racconta l’esperienza della madre, purtroppo non è in circolazione in Italia. L’abbiamo incontrato a Parigi.

Da piccolo accompagnavo i miei genitori in questi luoghi di cura, ma non avevo coscienza del perché andassero a Divonne les Bains, a Teunon o a Evian. Solo da adolescente ho cominciato ad interessarmi alla storia di mia madre e a quella più generale che la riguardava. E’ allora che mia madre mi ha raccontato la storia delle cure termali pagate dal governo tedesco. Più tardi, quando ho iniziato a fare cinema, ho pensato che fosse importante per me fare un film intorno alla storia di mia madre, in particolare nel momento della preparazione dell’anniversario del campo. Non soltanto per ragioni cinematografiche, ma anche per motivazioni più profonde, cercavo una strada per fare il film: sulla Shoah, sul genocidio nazista, ne erano già stati fatti tanti... Ma la mia intenzione era di fare un film sulla vita dopo i campi e sui sopravvissuti, che fosse anche intimo, personale, di un figlio sulla propria madre.
Allora subito mi è venuta l’idea di ambientare il film nello stabilimento delle cure termali dove si recava mia madre con altri amici e sopravvissuti. Là, in estate, si ritrovavano in condizioni molto piacevoli e formano una comunità un po’ speciale.
Volevo che il film girasse attorno a due questioni: cercare di capire come si vive dopo Auschwitz (e questa è una domanda che mi accompagna fin da quando ho conosciuto la storia di mia madre); cercare di capire se esiste la possibilità di una qualche riparazione per questa storia; e anche questa seconda domanda mi tormentava fin dalla mia giovinezza. Quando avevo saputo la faccenda delle cure, infatti, ne ero rimasto abbastanza sconvolto. D’altronde poca gente conosce questa storia che a prima vista sembra certamente assurda. Il governo tedesco ha ritenuto che si potesse indennizzare in qualche modo Auschwitz, concedendo ai sopravvissuti di usufruire di cure termali, ma previa attestazione del danno! Lo racconto nel film: i sopravvissuti dovevano passare dei test davanti a medici tedeschi per provare i traumi subiti! Ironia macabra. E all’inizio, infatti, i deportati non volevano accettare quell’accordo, che si è poi fatto tramite le organizzazioni mondiali dei deportati e il nascente Stato di Israele.
Questo era il punto di partenza del mio film: mi chiedevo come i sopravvissuti avessero potuto accettare una tale riparazione e, riflettendovi, mi sono accorto che era una domanda mal formulata. Bisogna rimettersi al contesto dell’epoca: i sopravvissuti come mia madre si sono ritrovati dopo la guerra in paesi che non conoscevano, senza un centesimo, a provare a continuare a vivere, perché vivere, avere dei bambini, era l’unica risposta individuale contro la cattiva sorte. Ed è proprio qui la risposta alla domanda alla quale il film tenta di rispondere: sopravvivere, accanirsi a vivere in testimonianza dei morti voleva dire prendersi una rivincita. Accettare del denaro era accettare di vivere, e questo non valeva solo per se stessi, il che è umano, ma anche per i morti lasciati senza sepoltura. Solo ritrovando la capacità di vivere si poteva trasmettere agli altri questa storia indicibile. Chiaramente il discorso del rimborso da parte dei tedeschi alle persone sopravvissute è questione insidiosa, sappiamo la persistenza di molti temi antisemiti. Ma nessuna persona si è mai arricchita con queste somme, è sempre stata una questione simbolica quella di accettare o meno tutto ciò che poteva contribuire alla ripresa della vita.
Io non credo sia giusto fare delle gerarchie nell’orrore, ma quello che fa la specificità di ciò che è successo nella seconda guerra mondiale per il popolo ebreo -e so che mia madre, anche se munita di una grande energia e vitalità, lo vive così- è l’ossessione che continua a tormentare il sopravvissuto persino nella stabilità oramai raggiunta: di fronte a quel tentativo genocidario, al tentativo di eliminare tutto un popolo soltanto perché nato, perché io e non un altro, perché io ce l’ho fatta? Portano in sé l’orrore del fatto che vivono, che non dovrebbero essere qui.
Credo di poter dire che anche nelle condizioni piacevoli e favorevoli per i villeggianti degli stabilimenti termali il passato non è mai passato. E’ una sensazione che ho sempre avuto dur ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!