Giuseppe De Matteis è ordinario di Geografia politica ed economica, presso la facoltà di Architettura dell’Università di Torino.

Possiamo partire proprio dal termine "rete" e dalla sua grande fortuna...
Oggi si parla tantissimo di reti perché in effetti la contemporaneità della comunicazione e l’accorciarsi delle distanze per i trasporti portano a vedere il mondo come un intreccio di reti, più che come un insieme di territori vicini o lontani. La lontananza fisica è sempre meno importante. Si sviluppano processi grazie ai quali certe parti di territorio si avvicinano pur essendo distanti tra loro migliaia di chilometri, mentre territori che non seguono lo stesso cammino di sviluppo si allontanano pur essendo circostanti. Basta pensare a certi quartieri di Londra appena di là dal Tamigi che, pur essendo a un tiro di schioppo dalla city, non sono investiti dai flussi finanziari, stanno in tutt’altre reti e seguono destini completamente diversi.
Non credo quindi che sia da condannare l’inflazione della metafora della rete, però bisogna poi specificarne il significato, perché ci si può riferire a reti materiali -quando parliamo di infrastrutture, di trasporti, di reti telematiche, di reti d’energia- o, più metaforicamente, appunto, a reti di città o di soggetti fra i quali avvengono interazioni che li avvicinano indipendentemente dalla distanza fisica. Queste sono reti economiche, ma -attenzione!- non soltanto economiche. Quelle culturali, ad esempio, sono molto importanti. A volte si realizzano avvicinamenti e collegamenti culturali tra i luoghi attraverso reti informali, addirittura illegali, come quelle dell’immigrazione e dell’emigrazione. Se andiamo in giro per Torino, in quartieri con una concentrazione dell’immigrazione magrebina, troviamo negozi che vendono prodotti magrebini, ristoranti che però poi vengono frequentati anche da non magrebini, dando luogo a contaminazioni, a ibridazioni.
Poi ci sono le reti degli scambi culturali: per esempio, oggi qualunque grande ente culturale, dalle biblioteche ai musei, ai conservatorii, ai teatri, ha collegamenti in rete con tutto il mondo, attraverso cui scambia i propri "prodotti", e organizza tournée e giri delle grandi esposizioni. Anche queste, ormai, sono reti molto importanti. Insisto su questo punto perché non vorrei che si desse troppa importanza all’economia. Teniamo presente che la più antica organizzazione a rete è la Chiesa cattolica, che ha certo veicolato anche contenuti economici, ma che, di per sé, non è affatto una rete economica: è una struttura a rete che dura da duemila anni e consente degli scambi importanti ancora oggi, di tipo culturale, di tipo politico e ideologico e, anche, economico.
Certo, oggi l’economia ci domina e tende un po’ a governarci tutti, però nelle reti circola qualche cosa che è addirittura capace di destabilizzare gli ordini economici. L’innovazione, ad esempio, è innanzitutto un fatto culturale che una volta assunto dall’economia, rischia anche di distruggerla: mentre fa guadagnare dei soldi a qualcuno, distrugge qualcun altro, spiazza, destabilizza. Quindi non mi limiterei agli aspetti economici, anche se ovviamente le reti che oggi permettono a chi le controlla di avere un’enorme influenza sul governo del mondo sono quelle del mercato finanziario, del mercato dell’informazione, delle grandi imprese sovranazionali.
Nella rete non c’è un unico centro, ma nodi più o meno importanti, è molto orizzontale. Che succede sul territorio?
Io mi riferisco sempre al mio campo: quando si facevano dei modelli di sviluppo territoriali, regionali, nazionali o su scala mondiale, lo schema guida era quello del centro e della periferia. E in realtà tu potevi sperare di cambiare qualche cosa se ti avvicinavi al centro, se rimanevi in periferia non c’era niente da fare, quindi i rimedi erano o di prendere dei pezzi di centro per trapiantarli in periferia, tipo i poli di sviluppo, oppure avvicinare il centro alla periferia tramite trasporti veloci. Oggi, invece, con la mobilità delle reti, si aprono delle nuove prospettive per chi sta in periferia.
Per esempio, lo sviluppo straordinario del Sud Est asiatico, (che adesso ci vogliono far credere sia finito, cosa che io non credo affatto perché quello sviluppo è radicato in una pre-condizione culturale piuttosto solida) che cominciò alla fine degli anni 60 smentendo tutte le previsioni dei teorici del centro-periferia, deve molto allo sviluppo delle reti.
D’altra parte, gua ...[continua]

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