Sauro Turroni, deputato verde, faceva parte della delegazione del Parlamento italiano alla conferenza Onu sul clima a Kyoto.

Vuoi raccontarci un po’ come è andata?
Beh, per certi aspetti, riguardo agli impegni che i paesi industrializzati avevano dichiarato di assumere, la conferenza è stata deludente. Pensiamo solo che Clinton, alla precedente conferenza di New York, fece un intervento degno del più acceso degli ambientalisti e dopo aver raccontato che il Bangladesh sarebbe sparito, che la malaria e altre vecchie malattie avrebbero di nuovo invaso tutti i paesi dai quali erano scomparse, che tutte le isole del Pacifico sarebbero scomparse sott’acqua, che città come Venezia sarebbero state definitivamente compromesse; dopo aver citato le migliaia e migliaia di chilometri quadrati degli Stati Uniti in pericolo, e le frane, le alluvioni, i tifoni, lo scioglimento di ghiacci, eccetera, eccetera, aveva preannunciato che a Kyoto si sarebbe arrivati con delle proposte precise. Ebbene, a Kyoto si è visto quali erano le proposte statunitensi: mantenere pari pari lo status quo. Che, sia detto tra parentesi, per gli Usa significa contribuire da soli per un 23% al surriscaldamento dell’atmosfera!
E’ arrivata "più preparata", non c’è dubbio, l’Unione Europea, che, sia pure dopo un anno di lungo e faticoso dibattito, si è presentata con la proposta di ridurre del 15% le proprie emissioni. Poi ci sono stati tutti i paesi G77, con in testa la Cina, ossia i paesi in via di sviluppo, più avanzati dunque dei paesi ultraemarginati, ultrapoveri, che hanno detto: "Noi aspettiamo di vedere cosa fate voi: quando avrete ridotto le vostre emissioni in maniera significativa, anche noi ridurremo le nostre, ma non potete chiedere a noi, che viviamo male, che abbiamo uno sviluppo bassissimo, di limitare le nostre già scarse opportunità".
Infine, c’erano paesi come l’Australia, paesi, cioè, già sviluppati, che hanno raggiunto una situazione di benessere, e che tuttavia avendo un livello di emissioni pro-capite molto basso per via di una densità bassissima di popolazione, erano disponibili a discutere. Anche perché per loro non sarebbe cambiato nulla, potendo continuare ad aumentare le proprie emissioni tranquillamente. C’è stato quindi un grande balletto di tutti i governi, che, peraltro, hanno ben chiara la drammaticità della situazione.
La Cina avrà le stesse emissioni degli Stati Uniti nel giro di pochi anni grazie a una crescita tumultuosa, gigantesca. I paesi in via di sviluppo hanno il 70% della popolazione mondiale e le loro emissioni di gas sono il 28% del totale. Gli Stati Uniti con il 4,7% della popolazione mondiale, hanno il 23% delle emissioni. La Russia ha il 17% delle emissioni a causa di una produzione assurda, con un livello di inquinamento pazzesco, al di là di ogni limite e, in questo dato, c’è pure l’aspetto, consolante, che in Russia a inquinare sono le aziende che non funzionano, non il livello dei consumi. Insomma, questi pochi dati già delineano un quadro più che allarmante e ci fanno intuire che le questioni in gioco sono molto delicate, perché riguardano, appunto, lo sviluppo dei paesi. Inutile mettere in evidenza, per esempio, quanto può essere rischiosa e gravida di conseguenze la tendenza dei paesi sviluppati a esportare verso i paesi poveri le tecnologie più schifose, più inquinanti, più disastrose.
Perché hai detto che la proposta europea era frutto di un accordo difficoltoso?
Perché redistribuisce in maniera diseguale fra i vari paesi membri il peso della riduzione delle emissioni. Secondo questo accordo, che è stato chiamato assai arcaicamente "bolla", per raggiungere il 15% globale di riduzione rispetto alla produzione di gas in atmosfera del 1990, la Germania dovrebbe ridurre del 25% le proprie emissioni. Va detto però, per inciso, che potrà godere dei benefici che le derivano dallo smantellamento di tutti gli impianti della ex Germania Est la cui parte di emissione è stata conteggiata. L’Italia ha un programma di riduzione del 7%. Altri paesi, prevedono invece un aumento delle proprie emissioni: il Portogallo del 40%, la Grecia mi sembra del 30%, e così altri. E’ questo che ha fatto arrabbiare i paesi del G7. Questi hanno detto: "Come, a noi chiedete di ridurre le nostre emissioni, e voi, che siete paesi sviluppati, al vostro interno prevedete che ci siano dei paesi comunque già sviluppati che possono aumentare le loro emissioni?".
Il fatto che sull’analisi della situazione e sui da ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!