Gilles Kepel, sociologo e ricercatore presso il Ceri di Parigi, si occupa prevalentemente dell’impatto dei fenomeni religiosi sulla società contemporanea. Su questo tema sono stati tradotti in italiano: La rivincita di Dio, edito da Garzanti, e A ovest di Allah, edito da Sellerio.

Che cosa rappresenta per il mondo musulmano il radicarsi di comunità musulmane in Occidente, ossia in terre "infedeli"?
Credo che la presenza dell’islam in Occidente, un società in cui i musulmani sono minoritari ma che è al cuore del sistema dei valori e del potere del mondo contemporaneo, sia un fenomeno completamente nuovo nella storia del mondo musulmano, anche se c’erano già state esperienze di islam minoritario. In India, per esempio, a partire dal 1857, allorché persero il potere a vantaggio dell’Impero britannico, i musulmani si sono ritrovati ad essere, da minoranza dominante, minoranza dominata, circondata dagli indù e in lotta contro di essi per evitare l’assimilazione. Un altro esempio, più vicino a noi, è quello della Bosnia-Erzegovina, dove, a partire dal 1878, in seguito alla conquista di quella regione da parte dell’Impero austro-ungarico, i musulmani, che erano una minoranza dominante, si sono ritrovati ad essere una minoranza che non aveva più accesso al potere politico. In entrambi questi casi, i musulmani hanno cercato di costruire metodi di sopravvivenza e adattamento ad un ambiente non musulmano. Alcuni metodi li possiamo definire laici, perché raggruppavano i musulmani come gruppo sociale, tentando di favorirli rispetto ad un ambiente indù o cristiano senza sviluppare un’identità religiosa musulmana propriamente detta. Altri metodi, invece, miravano a sviluppare un’identità eminentemente religiosa, affrontando il problema di come costruire un sistema comunitario musulmano, allorché non vi è più uno Stato che lo protegga. Nelle società musulmane, per principio, lo Stato, il califfo, il detentore del potere, è incaricato di fare applicare la shari’a, di fare rispettare l’ordine pubblico basato sui precetti dell’islam. Il problema nasce quando comunità musulmane vivono in uno Stato che non si preoccupa di far applicare i dettami dell’islam, problema, questo, particolarmente esacerbato nelle società occidentali, ma che si pone anche in quegli stati musulmani che non vogliono far applicare la shari’a.
Come si è sviluppata la presenza delle comunità musulmane nei paesi occidentali, in particolare in Francia?
Per quanto riguarda la situazione dell’islam in Occidente, in particolare nei paesi dell’Europa del nord: Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Olanda, occorre considerare che ci sono state tre fasi nello sviluppo delle comunità islamiche. La prima fase, che copre tutti gli anni Settanta, è una fase di sedentarizzazione delle popolazioni immigrate che si consideravano principalmente come dei lavoratori immigrati e non rivendicavano affatto la loro identità religiosa per stabilirsi in Europa, ritenendo che ben presto sarebbero rientrati nei loro paesi di origine. Ora, per la cosmologia islamica, il viaggio dispensa dagli obblighi religiosi e l’emigrazione temporanea di questi lavoratori era assimilata a un viaggio prolungato. Questa è la ragione per cui, fino a tutti gli anni Settanta, non si è cercato di impiantare il culto musulmano in Europa e non si sono fondate moschee.
Le cose cambiano alla fine degli anni Settanta, quando le popolazioni musulmane immigrate cominciano a rendersi contro che vivranno in Occidente per sempre. Infatti, le leggi emanate in tutti i paesi del Nord Europa dopo la crisi petrolifera degli anni Settanta impedirono l’afflusso di nuovi lavoratori immigrati, pensando che, riducendo il numero degli immigrati, si potesse ridurre la disoccupazione degli europei. Tuttavia, in quel tempo, la maggioranza dei lavoratori immigrati ritiene che sia meglio restare in Europa, anche se disoccupati, piuttosto che rientrare nei paesi di origine, perché all’epoca la disoccupazione era ancora un fenomeno pressoché sconosciuto da noi.
L’Occidente, infatti, usciva da un trentennio di pieno impiego, per cui si pensava che la disoccupazione sarebbe durata tutt’al più qualche mese. Adesso vediamo che dura da più di vent’anni. Decidendo di restare, i lavoratori musulmani immigrati finiscono per trasformare la natura delle loro comunità, che erano composte prevalentemente di uomini attivi e occupati, in comunità in cui sono presenti anche donne e bambini. E’ così che nasce la domanda di un ...[continua]

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