Giuseppe Farias, già docente di Fisica, collaboratore da sempre de Il Mulino, è tra i maggiori esperti italiani di formazione professionale.

Vorremmo parlare con lei della formazione professionale che sembra essere la cenerentola dei problemi di cui si preoccupano i nostri governanti. Intanto, cosa si deve intendere per formazione professionale?
Penso sia utile qualche chiarimento di ordine costituzionale. L’articolo 35 della Costituzione recita: "La Repubblica cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori". Il costituente decise, cinquant’anni fa, che i cicli che riguardavano la professionalità dei lavoratori fossero due: uno di formazione e l’altro di elevazione. La formazione riguarda il futuro lavoratore, quindi il giovane in quanto potenziale lavoratore, mentre l’elevazione riguarda il lavoratore già qualificato. E’ bene mantenere sempre presente questa distinzione che è di tutti i paesi industrializzati; qualche equivoco vien fuori se si adopera, come fanno i francesi, la dizione "formazione continua", perché si rischia la demagogia dello slogan: "A scuola per tutta la vita". Non è vero niente: si va a scuola quando si è giovani, poi si fa formazione continua, che è un’altra cosa. Il mondo tedesco non adopera la parola formazione: approfittando della sua possibilità di costruire vocaboli, usa l’espressione Berufsbegleitende Fortbildung che non è la formazione di base (Berufsausbildung), ma quel tipo di promozione che si realizza continuamente sul piano professionale.
Quindi il processo formativo professionale non riguarda tutti i cittadini, ma solo i lavoratori. Non si tratta, cioè, di quell’educazione permanente che si innesta sulla socializzazione primaria e che conferisce a tutti i giovani una base comune di istruzione, ma di una fase successiva di socializzazione professionale che mette di fronte alla scelta di un ruolo, di una professione, imposti dal mondo del lavoro e dalla molteplicità di ruoli che lo caratterizza.
In questa seconda fase la persona è coinvolta da due processi formativi paralleli, che si influenzano l’uno con l’altro. Il primo è la continuazione dell’istruzione di base, che si realizza attraverso l’acquisto di libri, di riviste, la frequentazione di concerti, di teatro, di biblioteche, di conferenze, attività culturali delle quali lo Stato è responsabile e delle quali il cittadino è libero di approfittare; l’altro è vissuto da una stessa persona per il fatto di essere medico, perito elettronico, barista e ha bisogno di stare al passo coi tempi. Glielo chiede l’impresa nella quale lavora, perché non vuole che egli diventi vecchio, professionalmente parlando. L’azienda ha interesse ad avere dipendenti che, man mano che il tempo passa, curano il proprio aggiornamento; per il lavoratore poi è un’assicurazione contro la perdita del posto. I due interessi convergono.
Teniamo presente la possibilità, non trascurabile, che l’azienda, per motivi finanziari, tecnologici e di mercato, fallisca: in tal caso la forza lavoro dovrà essere riconvertita per andare a lavorare altrove, sfruttando un processo formativo che non è quello dell’aggiornamento, ma quello della riqualificazione; un terzo caso è quello del lavoratore che si invalida, per malattia o per infortunio, e deve essere riqualificato tenendo conto delle sue capacità residue: è il caso classico del cieco che diventa telefonista. Per usare una metafora, l’aggiornamento riguarda un’impresa sana, è come una sorta di igiene del lavoro: chi lavora deve tenersi aggiornato; la riqualificazione è invece un intervento medico su una persona che si è rotta qualcosa.
Naturalmente, i problemi dell’aggiornamento e della riconversione dei lavoratori riguardano i datori di lavoro e i dipendenti di ciascuna azienda. Si tratta di una responsabilità delle forze sociali. A chi, d’altra parte, la si potrebbe delegare? Al contrario, la formazione giovanile, la preparazione del futuro cittadino lavoratore non può essere affidata alle forze sociali, si tratta di una compito formativo di cui ha responsabilità la comunità civile.
Concludendo, la fase di preparazione del lavoratore la possiamo sostanzialmente collocare fra i 15 e i 20 anni; la fase di aggiornamento e di riconversione riguarda tutta la vita lavorativa. Sgombriamo quindi il campo da tutte le dichiarazioni retoriche riguardanti, la scuola, i banchi, ecc.
D’altra parte, scuola e formazione professionale sono rigidamente separate nella Costituzione perché si t ...[continua]

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