Vjosa Dobruna è stata Presidente della Radio Televisione pubblica del Kossovo.

Sono passati quasi due anni dalla proclamazione dell’indipendenza del Kosovo. Che bilancio possiamo trarre?
Il 15 novembre abbiamo avuto le nostre prime elezioni locali, organizzate completamente da kosovari. Nonostante il procedimento sia stato molto complesso, direi che ce l’abbiamo fatta, le votazioni sono avvenute correttamente, senza incidenti di rilievo.
Per la prima volta -dato molto importante- anche i serbi kosovari hanno partecipato alle elezioni, non in massa ma con un’affluenza significativa. In alcuni comuni ha partecipato il 25% degli aventi diritto, in altri il 33%. In tre comuni è stato eletto un sindaco serbo, in qualche altro sono andati al ballottaggio. Questa volta le pressioni esercitate da Belgrado non hanno funzionato. Insomma direi che ci sono stati dei segnali positivi. Purtroppo non è stata eletta sindaco nemmeno una donna…
Ciò che, a dispetto delle previsioni ottimistiche, non va altrettanto bene è la situazione dello sviluppo economico. Il nostro governo ha previsto per il prossimo anno una crescita del 4%, ma credo si tratti di una stima estremamente ottimistica, non solo per la crisi globale, ma proprio perché non ci sono investimenti, né alcuno sforzo efficace per attirare gli investimenti dall’estero o le rimesse dalla nostra diaspora. Sul piano del processo democratico, rilevo poi che le elezioni non sono l’unico pilastro. Anche la libertà dei media è importante e, per quanto il governo e il parlamento ne affermino la piena indipendenza, i nostri media, di fatto, oggi sono pesantemente condizionati dal governo.
Per cinque anni sono stata presidentessa dell’unica stazione radiotelevisiva nazionale. Recentemente è stata approvata la nuova legge, secondo la quale è il Parlamento a nominare il consiglio d’amministrazione. Così l’unico media pubblico del Paese è ora in mano al governo, che controlla il mercato attraverso la concessione degli spazi pubblicitari.
Comunque, se vogliamo, questi sono problemi che interessano anche i paesi normali.
Dicevi della situazione economica…
I problemi economici non sono del tutto intrinseci al Kosovo, sono le difficoltà tipiche di un giovane piccolo Paese, ancora non pienamente sviluppato, stretto nelle maglie della globalizzazione.
Dopo dieci anni di protezione internazionale non siamo riusciti a creare una situazione di autonomia, né la transizione da un’economia fortemente centralizzata a una di mercato è stata compiuta. Oggi il Kosovo è in balia di un capitalismo avventuristico, anarchico, spesso irresponsabile… tutto è in vendita e il gap che separa i ricchi dai poveri è davvero troppo ampio, con l’aggravante che manca una politica sociale di attenzione per i più deboli.
E’ vero ci sono gli aiuti europei, ma si tratta di contributi particolari. L’Europa non elargisce fondi, né fa investimenti diretti. Il suo aiuto riguarda soprattutto la costruzione di uno stato di diritto. EU-Lex è una struttura che dovrebbe monitorare appunto questo processo, lavorando a fianco delle corti, dei procuratori, della polizia…
Il contributo finanziario si limita all’attivazione di progetti cosiddetti di capacity building, per mettere a punto le leggi che servono in un’economia di mercato.
C’è stato un convegno con tutti i finanziatori esteri, dopo l’approvazione della nuova costituzione, ed erano stati promessi circa uno virgola due miliardi di euro, ma sempre in supporto tecnico più che in finanziamenti diretti ai progetti di sviluppo economico. Anche gli Stati Uniti contribuiranno. Ma sono fondi destinati al risanamento del debito pubblico ereditato dall’ex Yugoslavia. Il Kosovo ha infatti accettato di essere il pagatore nominale di quel debito. Per questo Europa e Usa stanno contribuendo.
Un grosso problema è dato dalla mancanza di lavoro. Secondo l’ufficio di rilevazioni statistiche nazionale, circa il 45% della popolazione è disoccupata. Io ho qualche dubbio su questo dato perché grossa parte dell’economia del Kosovo è cosiddetta grigia, non è vero e proprio lavoro nero, ma certo c’è una buona dose di grigio scuro.
Non solo, mentre una volta le rimesse della diaspora internazionale ammontavano all’incirca a 700 milioni di euro all’anno, ora a causa della crisi economica internazionale si sono molto ridotte, assestandosi a circa 400 milioni all’anno. Bisogna tener presente che queste entrate tenevano in piedi una qualche economia, permettevano a ...[continua]

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