Andrew Arato, docente di Teoria Politica alla New School di New York, ha pubblicato, tra l’altro, The Occupation of Iraq and the Difficult Transition from Dictatorship (2003). E’ in corso di pubblicazione, per la Columbia Press, The Imposed Revolution and its Constitution: Iraq 2002-2005.

Sei mesi fa facevamo ipotesi sull’eventuale efficacia della strategia del “surge”… E’ possibile fare un bilancio?
In effetti il livello della violenza nell’area di Baghdad è calato, per quanto sia difficile dire se la causa sia la strategia militare o non si tratti piuttosto dell’esito della pulizia etnica. Anche in altre aree del paese i disordini si sono ridimensionati ma, di nuovo, non tanto per il “surge”, quanto per una nuova situazione politica: il comando americano ha infatti capito di dover ripristinare il rapporto con i sunniti e questo, in particolare nella provincia di Al Anbar, ha portato a una sorta di alleanza tra gli americani e i leader politici tribali, che d’altra parte sembravano desiderosi di arrivare a un tale scenario. Non credo infatti che il loro potenziale accordo con Al Qaeda in Mesopotamia fosse una scelta felice, perché l’islam salafita non era un buon alleato nemmeno per loro.
Questo non solo ha portato a sconfiggere segmenti di Al Qaeda ad Al Anbar, ma ha diminuito il potenziale contro l’America. In altre parole, nel processo di rafforzamento delle tribù, l’America ha alleggerito anche le pressioni di questi gruppi contro di sé, non invece quelle contro il governo Maliki. Infatti restano tensioni tra il governo e il comando americano rispetto a questo fatto di armare e sostenere le tribù.
Nonostante quanto detto, la situazione evidentemente non è stabile, e certo non porterà a una soluzione politica per il paese. Se non attraverso una divisione, che di fatto è già la direzione verso cui si sta andando. Ora poi verranno ritirate alcune truppe. Entro aprile-maggio ci saranno 15.000 soldati in meno. E nulla ci garantisce che questa parziale pacificazione possa ribaltarsi. Ma in ogni caso, se anche la situazione si attesta, non si intravede alcuna soluzione politica. Per non parlare del sud, dove non è stata inviata alcuna nuova truppa americana, e la Gran Bretagna ha ormai ritirato le sue forze da Bassora. Insomma, lì è un’altra storia: laggiù le milizie sciite hanno il controllo assoluto. E siccome sono in qualche modo tutte legate all’Iran…
Allora, se l’obiettivo dell’invio di ulteriori truppe, per quanto solo temporaneamente, era quello di accelerare una soluzione politica, direi che non è stato raggiunto. Resta vero invece che c’è stata una certa pacificazione a Baghdad e una certa diminuzione della violenza nelle aree dominate dai sunniti, quelle più critiche. Ma, lo voglio ripetere, a livello politico nulla è cambiato.
Recentemente poi si è profilato un nuovo elemento di complicazione: la Turchia…
E’ chiaro che quanto è accaduto non è una vera novità, né un imprevisto. In qualche misura l’accordo politico stipulato tra i curdi e gli Usa, all’inizio del processo, è uno degli elementi cardine di questo conflitto. Quell’accordo infatti ha consolidato un “quasi Stato” per i curdi iracheni del nord. Questa enclave relativamente pacifica (che tra l’altro aveva buone relazioni con l’Iran) costituiva pertanto fin dall’inizio un problema enorme per la Turchia. E non solo per la Turchia.
Non possiamo infatti ignorare come questa sorta di “Stato nello Stato” rappresenti un ostacolo al processo di costituzione di uno Stato iracheno. Problema cruciale. L’altro nodo è che tale “entità” è stata creata in un’area dove ci sono più curdi attorno che all’interno, e tutti questi curdi tradizionalmente hanno come aspirazione non un piccolo Kurdistan, ma un grande Kurdistan per tutti i curdi. Quanto forte e generalizzata sia questa aspirazione è un’altra questione. Anche nella comunità curda irachena ci sono diverse visioni, soprattutto rispetto al “far parte” dell’Iraq. Tuttavia io credo che l’ala Barzani dei curdi iracheni rimanga piuttosto nazionalista e pensi in termini di grande Kurdistan. E la Turchia ovviamente ne è consapevole.
Ora ci sono forti tensioni nelle aree turche con forte presenza curda, a causa di forze rivoluzionarie. L’ala di Barzani non può evidentemente controllare queste forze, ma sicuramente in qualche modo le copre, le protegge. Gli attacchi alla Turchia sono venuti dal Kurdistan iracheno. Gli americani, dal canto loro, affermano di non poter fare molt ...[continua]

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