L’8 settembre, all’annuncio dell’armistizio con gli Alleati, come rappresentanti dell’antifascismo siamo andati dai carabinieri e dal podestà di Sarzana e abbiamo detto loro che a Sarzana la popolazione sarebbe stata pronta a resistere all’occupazione tedesca. Il podestà, che era uno di Sarzana, fascista in quanto aveva accettato di fare il podestà, ci ha detto che era d’accordo. Così nella caserma dei carabinieri abbiamo fatto l’inventario delle armi che erano a disposizione. Questo è successo il mattino del 9 settembre, ma al pomeriggio, quando si è saputo che la guerra continuava, in base alle disposizioni emanate -ad esempio non si poteva essere in gruppi di più di tre persone- i carabinieri si son messi a cercare gli antifascisti per arrestarli, e così noi, in sette-otto (mica eravamo di più) siamo andati in montagna per organizzare la resistenza.
La Resistenza a Sarzana è cominciata così. La maggioranza di noi era già in clandestinità, poi è cominciata l’organizzazione dei gruppi armati. In seguito ad un rastrellamento ci siamo sganciati e ci siamo spostati nel parmense ed abbiamo operato in quella zona per qualche mese, inquadrati nella brigata Parma. All’occupazione di Roma da parte degli alleati, il 4 giugno 1944, il Cln di La Spezia, convinto che quella degli Alleati sarebbe stata una corsa verso il nord, ci ha richiamati in zona per preparare il terreno all’avanzata. In tutto l’Appennino i vari distaccamenti si riorganizzavano in vista di quella che poteva sembrare la battaglia decisiva. Il comandante della Parma, ad esempio, mi aveva detto di avvisare il comandante Facio che, pur essendo della Parma, combatteva nel sarzanese, di tornare nel parmense. Il fronte in realtà rimase lontano; la corsa degli alleati s’era arenata di nuovo.
Dalla zona di Parma siamo tornati in una cinquantina, ma a novembre, quando fu lanciato un nuovo grande rastrellamento, eravamo già 960. I tedeschi e i fascisti impegnati nel rastrellamento erano più di 6000 e avevano circondato la zona della nostra brigata. In realtà erano già riusciti a infiltrarsi nel dispositivo difensivo dei vari distaccamenti. Come al solito, in questi casi, il nostro obiettivo era di resistere fino all’imbrunire per tentare lo sganciamento di notte. Quella sera del 29 novembre se l’imbrunire avesse tardato 10 minuti avremmo fatto una brutta fine perché non avevamo più munizioni. Nella notte il grosso della brigata riuscì a rompere l’accerchiamento e ad andare sulle Apuane e poi a passare il fronte, perché eravamo a ridosso della linea gotica. Io assieme al comandante Walter e ad altri 10-11 partigiani siamo rimasti in zona perché nei combattimenti, oltre a 15 morti, avevamo avuto una ventina di feriti, che dovevamo cercare di salvare. Li abbiamo nascosti in un canalone che aveva una fitta vegetazione, quasi inaccessibile, e infatti i feriti si sono poi salvati. Tutti i giorni, rischiando molto, veniva un medico, un ex ufficiale di marina. Il 14 dicembre il medico è venuto su, ci ha ordinato una lista di medicinali e io, con altri due partigiani, sono sceso a prendere queste medicine, nascoste in un cascinale mezzo diroccato. Trovato lo zaino coi medicinali, erano le quattro del pomeriggio, eravamo pronti a tornare su, ma abbiamo aspettato ancora un po’ per ascoltare la trasmissione delle quattro di Radio Londra. Ad un certo momento si è spalancata la porta “ in alto le mani!”. Era arrivata la brigata nera, e ci hanno preso. Siamo usciti, e io a dir la verità ho anche pensato ad uno scherzo. Ma poi ci hanno messo contro il muro, ci hanno dato qualche calcio, qualche pugno. C’è stato un momento di indecisione, in quegli attimi pensi di tutto, anche che stanno per fucilarti e allora ho tentato la fuga, perché ero nell’angolo della casa, vicino ad una piccola scarpata che andava giù. Hanno sparato, la pallottola ha attraversato la gamba sinistra, è entrata nella gamba destra e mi è esplosa dentro. Nel trambusto un altro è riuscito a fuggire, mentre io e il terzo, che non s’era mosso, siamo stati portati giù a Sarzana. Io non riuscivo neanche a camminare. Quando siamo arrivati giù al piano ci siamo fermati ad una trattoria, dove ci hanno messo a disposizione un carretto, e mi hanno portato alla caserma della brigata nera. Era il giovedì e mi hanno tenuto lì fino alla domenica, non mi volevano portare in ospedale. Hanno fatto venire in caserma due medici, che io conoscevo, erano quasi miei coetanei, io ero a terra in un pagliericcio, co ...[continua]

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