Marcello Gallo, avvocato penalista, è ordinario di Diritto Penale nella facoltà di Giurisprudenza nell’Università La Sapienza di Roma. E’ stato presidente della commissione bicamerale che ha espresso il parere sul nuovo codice di procedura penale.

La separazione delle carriere fra giudice e pubblico ministero, fra giudice e magistrato d’accusa, recentemente ancora esclusa dal presidente Scalfaro, potrebbe garantire più ampiamente la terzietà del giudice, vera colonna portante di ogni idea di giustizia? E quanto è reale il rischio, paventato da tanti, che una simile riforma vada a condurre l’istituto del pubblico ministero sotto controllo politico?
Il problema indubbiamente esiste. Il nuovo codice di procedura penale ha reso l’attività del pubblico ministero particolarmente incisiva sugli effetti dello svolgimento delle indagini, per cui il pubblico ministero si è trovato ad essere portatore di una conoscenza delle tecniche di investigazione, complesse ed elaborate, che i giudici non hanno. Che il pubblico ministero abbia un tipo di preparazione diversa da quella di chi è chiamato a giudicare mi sembra indispensabile. Sarebbe quindi opportuno che le carriere di giudice e pubblico ministero fossero differenziate, magari permettendo, con congrui vagli, il passaggio dall’una all’altra, ma senza che le funzioni siano praticamente intercambiabili come avviene oggi.
Tutto questo, però, non deve assolutamente portare alla conclusione che il pubblico ministero debba essere assoggettato al controllo gerarchico di questo o di quell’organo: il pm deve essere assolutamente indipendente, così come è indipendente il giudice e questo per il semplice motivo che il nostro sistema giudiziario si fonda sulla regola fondamentale che i giudici dipendono solo dalla legge. Ora, se il pm fosse un organo assoggettato a vincoli di subordinazione speciale nei confronti di altri soggetti, è chiaro che anche il giudice, seppur per via mediata, non sarebbe più dipendente soltanto dalla legge, ma anche dalle direttive e dagli ordini dati al pm.
Come conciliare allora l’esigenza di una particolare preparazione professionale del pubblico ministero e quindi della separazione della carriera di questo da quella del giudice con il principio della non subordinazione gerarchica del pm a organi superiori? Credo lo si possa fare mediante la revisione di due norme della Costituzione: l’art. 107 e l’art. 101.
L’art. 107 elenca le garanzie costituzionali dei magistrati, ossia l’inamovibilità, il fatto che non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi e funzioni se non in seguito a decisioni del Csm, e così via. Quando, però, si arriva all’ultimo comma si legge quanto segue: “Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”. In pratica, per il pm, rispetto al quale è fatta distinzione nei confronti degli altri magistrati, le garanzie non sono più di natura costituzionale perché la Costituzione rinvia alle norme sull’ordinamento giudiziario che sono di legge ordinaria. Secondo me una riforma costituzionale dell’art. 107 dovrebbe poggiare sulla riconduzione della posizione del pm a quella di tutti i magistrati, disponendo garanzie di ordine costituzionale per tutti i magistrati, compresi i magistrati del pubblico ministero.
Ma c’è un altro punto importante. L’art. 101, secondo comma, dice: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. “I giudici”: anche questo mi sembra limitativo. Questo secondo comma dovrebbe essere riscritti nella seguente maniera: “I magistrati sono soggetti soltanto alla legge”. Anche per i pm, cioè, dovrebbe essere costituzionalmente affermata l’impossibilità di ogni dipendenza gerarchica, posto che, come tutti i magistrati, dipendono soltanto dalla legge. Così si arriverebbe a un risultato che mi sembra molto importante. Una volta che i pubblici ministeri fossero muniti di quelle garanzie, tutte di ordine costituzionale e non di legge ordinaria, di cui già godono gli altri magistrati, sarebbe confermata, direi quasi rafforzata, nel modo più pieno l’impossibilità di dipendenza gerarchica del pubblico ministero, la sua assoluta indipendenza.
Al tempo stesso, una proposta di questo genere avrebbe il merito di funzionare da cartina di tornasole, mettendo in luce chi, fra gli avversari o i sostenitori della separazione delle carriere, persegue scopi diversi da quelli di una maggiore professionalità e distinzione tra ...[continua]

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